Sinistra in cerca d’autore
Consigli non richiesti ad una sinistra in affanno, quasi collassata. Siamo tra quelli che ritengono indispensabile in una democrazia matura la vitalità di un’opposizione capace di svolgere il suo ruolo a beneficio anche della maggioranza. Perciò vedere il Pd, tralasciando l’Idv oggettivamente irrecuperabile a qualsiasi tipo di confronto dialettico, nelle condizioni in cui versa è preoccupante per la tenuta stessa del sistema politico. Oltretutto a nessuno sfugge che le riforme, a cominciare da quelle istituzionali, o la maggioranza e la minoranza le fanno insieme o non si fanno. Perciò c’è bisogno di uno schieramento ragionevole e responsabile che non si nasconda dietro l’antiberlusconismo di maniera per evitare il confronto con il centrodestra. Del resto, visto che questo surrogato ideologico finora non ha pagato politicamente, sarebbe bene che lo si abbandonasse, come pure suggeriscono autorevoli intellettuali vicini al centrosinistra. Ciò vuol dire farla finita con la demonizzazione preventiva del Cavaliere ed avviare con il Pdl e la Lega un serio ragionamento sulle riforme possibili, ricominciando magari dalla famosa «bozza Violante» rimasta nei cassetti della Commissione Affari costituzionali della Camera dalla fine della scorsa legislatura. Se poi la sinistra, ovvero il partito di Bersani in primo luogo, volesse essere coerente con la sua storia recente, dovrebbe lavorare, parallelamente al fronte opposto, per rafforzare il bipolarismo che, se non sbaglio, era la premessa su cui si fondò la costruzione del partito unitario. Perciò le tentazioni di alleanze con un fantomatico Terzo polo sono in contraddizione con le scelte operate al congresso del Lingotto e con la vocazione maggioritaria ribadita da Veltroni alla vigilia delle elezioni del 2008. Aggregare altre forze è naturale; gettarsi per disperazione tra le braccia di soggetti estranei ed «alternativi» sarebbe un’ammissione di sconfitta difficile da mascherare. Se la sinistra vuole davvero essere se stessa e ritrovare il bandolo della matassa che andata ingarbugliandosi negli ultimi due anni, non può che costituirsi e presentarsi agli italiani come un’opposizione costruttiva disposta ad offrire il proprio contributo critico, ma anche il doveroso appoggio, qualora se ne presentasse l’occasione, al governo come accade in tutto mondo occidentale. Non suonerebbe scandaloso assumere posizioni convergenti davanti ad emergenze sociali ed economiche tali da mettere a repentaglio la vita stessa del Paese. Il Pd è in grado di acconciarsi in tal modo recidendo i legami con quell’estremismo che inutilmente ha cavalcato negli ultimi tempi rinnegando di fatto il riformismo cui pure diceva di volersi ispirare? La pesca delle occasioni non ha portato fortuna al Pd, come tutti possono constatare. E neppure il miraggio della «spallata», sostenuta paradossalmente con maggiore vigore dai fuoriusciti dal centrodestra, ha dato i frutti sperati. Allora non è il caso di cambiare strategia e farla finita con la messianica attesa dell’inciampo decisivo di Berlusconi per fare che cosa poi non è chiaro, posto che alla sinistra manca una visione coerente e complessiva non solo per vincere le elezioni, ma anche per poter eventualmente governare. È su questo punto che Bersani e soci dovrebbero concentrarsi, mettendo innanzitutto fine al rapporto con Di Pietro, per definizione impolitico. Chiarendo, poi, una volta per tutte, se intende stabilire un’alleanza con Vendola e la sinistra più radicale consapevole, in tal caso, che i moderati di provenienza «margheritina», a parte Rosy Bindi, trasmigrerebbero altrove. Un rischio, del resto, il Pd deve pure correrlo. Restare impaludato è quanto di peggio possa capitargli. Infine, se la sinistra vuole avere un ruolo nell’anno che viene ed in vista delle elezioni quando ci saranno, deve darsi una struttura capace di elaborare un sistema progressista e riformista che innanzitutto si tenga lontano dal giustizialismo e ricominci a costruire, assecondando la propria vocazione, una casa comune intorno a valori che siano condivisi da quella che una volta era la mitica «base». Insomma, se la «fusione a freddo» ha frenato il Pd fino a renderlo subalterno del movimentismo vendoliano da un lato ed aggiogato al carro dipietrista dall’altro, è tempo che si scuota dal torpore e riprenda il cammino verso approdi politici concreti. Nel segno del confronto con la coalizione opposta. Diversamente continuerà a coltivare il proprio solipsismo irrancidendo nell’irrilevanza. Veltroni, ad onor del vero, tutto questo sembra averlo compreso. Chissà se riuscirà a mettere in piedi anche una strategia in grado di far uscire il Pd e la sinistra dal guado.