Gli amerikani dietro Fiat
Finalmente c’è il colpevole. Sergio Marchionne non è cattivo, forse non lo è mai stato. L’ad che sta cercando di rivoluzionare il modello industriale italiano grattando via i sedimenti di un mondo che non esiste più non lo fa per un progetto o per una sua libera iniziativa. Non lo fa perché ha a cuore il futuro di Fiat e del settore automobilistico italiano. È semplicemente eterodiretto. Da chi? Ma è ovvio, dagli amerikani. Sì, quelli con la «k» che fa tanto anni '70. Gli stessi brutti e sporchi che complottavano nell'ombra con Francesco Kossiga. E poco importa che il calendario segni l'anno di grazia 2011, il pericolo amerikano è quanto mai forte e presente. Così almeno ci spiegano due pilastri del pensiero del centrosinistra italiana: l'Unità e il «sermone» di Eugenio Scalfari su Repubblica. Il quotidiano diretto da Concita De Gregorio ha deciso ieri di dedicare all'argomento un dossier di sette pagine. Richiamo in prima: «Il "ricatto" Marchionne per salvare Chrysler - Cosa c'è dietro le dure condizioni imposte a Mirafiori». Il messaggio è ancora più chiaro prendendo in mano l'inserto dal titolo «Fiat, America»: «I tempi stretti e le dure condizioni del salvataggio Chrysler impongono alle fabbriche italiane il ricatto del lavoro in cambio dei diritti. Ma l'ambizione di Marchionne non può essere cambiata con la nuova frontiera della modernità». Ora si potrebbe far notare che il patto tra Fiat e Chrysler è stato «benedetto» da Barack Obama. Lo stesso presidente che il quotidiano, il 4 novembre 2008 giorno della sua elezione, celebrò con una copertina con l'immagine della Terra vista dalla Luna e la scritta «Nuovo mondo». Si potrebbe anche far notare che Pd e Cgil, riferimenti economici e politico-culturali della testata, pur criticando parti dell'accordo riguardante Mirafiori, insistono sull'opportunità che la Fiom lo sottoscriva (ieri il numero uno della Cgil Susanna Camusso ha invitato l'ala dura a rispettare l'esito del referendum tra i lavoratori anche se dovesse vincere il sì). E il problema, forse, è proprio questo: il nemico amerikano è l'obiettivo perfetto contro cui sparare per superare l'imbarazzo di una sinistra che non può schierarsi apertamente dalla parte del padrone. A conferma di questa teoria ecco arrivare Eugenio Scalfari. Dopo aver dedicato la prima parte del suo consueto intervento domenicale al discorso di fine anno del presidente delle Repubblica Giorgio Napolitano, il Fondatore affronta la «patata bollente». Certo, il titolo del suo articolo è già un programma: «Il sindacato americano padrone di Marchionne». Ma la sorpresa arriva, nello svolgimento. Per Scalfari, infatti, «Marchionne ha rivoluzionato il mercato del lavoro e le istituzioni che con il lavoro hanno attinenza di fronte all'economia globale; li ha messi di fronte alla realtà, e questo è un merito che gli va riconosciuto». E ancora: «Noi pensiamo (il riferimento è «ai contratti "ad hoc"» e alle «nuove società» ndr) «che si tratti di un'alternativa e non di un ricatto». C'è anche una stoccatina alla Fiom che sta per trasformarsi in «partito di antagonismo sociale» e la domanda nasce spontanea: dov'è il problema? La risposta è nell'ultima colonna del pezzo (sarà un caso?). Secondo Scalfari, infatti, il «padrone di Marchionne» è il «sindacato dei lavoratori Chrysler che possiede quota di controllo del capitale attraverso il suo fondo pensione». Sono loro, insomma, che dirigono le mosse dell'ad. Ed a quel modello che ci si dovrebbe ispirare anche in Italia. Infatti in questo modo, secondo Scalfari, gli operai italiani vedrebbero "compensata" «l'inevitabile perdita di benessere». Certo Marchionne, ma soprattutto il Parlamento italiano, non può assolutamente permettere che nelle fabbriche «ci siano lavoratori privi di rappresentanza». Ma forse Scalfari, dall'alto della sua onniscienza, sottovaluta la grande lezione di Vasco Rossi che, già nel 1979, cantava: «Non siamo mica gli americani che loro possono sparare agli indiani».