Morte di un alpino dai valori antichi
«Ogni metro potrebbe essere l'ultimo». Matteo Miotto, 24 anni, alpino di razza vicentina, era consapevole dei pericoli in terra afghana. caporalmaggiore del 7° reggimento alpini di Belluno è morto l'ultimo giorno dell'anno. Ucciso da un cecchino talebano. Un colpo solo alla base del collo mentre era di guardia sulla torretta della «Base Snow» nel Gulistan, provincia occidentale della regione di Herat. «Un altro lutto che arriva in un giorno che doveva essere di festa. Ci sono stati troppi lutti in Afghanistan tra i nostri soldati», ha detto ai giornalisti il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che ha annunciato di voler andare in Afghanistan subito dopo i funerali di Matteo Miotto. Stamattina la bara del soldato arriverà in Italia avvolta nel tricolore. Un'immagine che proprio Matteo aveva più volte sottolineato nello stigmatizzare coloro che si ricordano dei militari in missione solo quando «tornano avvolti nel tricolore». Oggi la bandiera italiana sarà il suo sudario. I funerali di Stato a Roma domani alla presenza del Capo dellO Stato che ha ricordato il sacrificio di Matteo Miotti nel discorso di fine anno. Sarà, poi, il duomo di Thiene ad accogliere martedì la salma di Matteo Miotto. Il giovane vicentino era atteso a Zanè, dove abita la famiglia, il 20 o il 21 gennaio. I genitori erano stati contattati dal figlio, via computer, per gli auguri di Natale. La sua vita era in Afghanistan come aveva scritto in quelle poche righe inviate via mail ai genitori. Un ragazzo 24enne che credeva alla Patria e ai valori militari. Da soldato aveva fatto testamento, chiedendo di essere sepolto con chi aveva sempre ammirato: i caduti di guerra. Le versioni contrastanti sul punto in cui il proiettile del cecchino l'avrebbe raggiunto - alla spalla, oppure al fianco - non hanno convinto il papà del ragazzo, Francesco Miotto, 63 anni: «Adesso devono dirmi come è morto Matteo». Il nuovo lutto tra i militari italiani fa discutere anche la politica. «Il problema è che quelli che non tornano sono troppi» dice Umberto Bossi e il governatore Luca Zaia ritiene peraltro ormai «indifferibile una exit strategy».