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L'antiberlusconismo nasconde l'assenza di idee

Pierluigi Bersani e Antonio Di Pietro

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La sinistra sta implodendo. Perduta l'ultima occasione, quella della sfiducia a Berlusconi, è ripresa la guerra intestina che da quattro anni e mezzo la lacera. Prodi è stato la vittima più illustre dell'insana ordalia, ma anche altri leader sono stati bruciati nel rogo di una coalizione senz'anima, popolata da tanti rancori. Qualcuno, comunque, forse per disperazione, ritorna. L'ultimo è Walter Veltroni, senza dubbio il più dotato del Pd, mentre il suo antagonista D'Alema, sempre più allergico alle critiche, sta inabissandosi nel suo narcisismo. Veltroni, nonostante gli errori commessi, complice anche Repubblica, non è detto che non ce la faccia a risalire la china e riprendersi il partito che ha contribuito più degli altri (insieme con Fassino) a fondare. Se l'operazione non dovesse riuscirgli, è probabile che se ne inventi una tutta nuova, lasciando l'evanescente Bersani al guinzaglio della vecchia nomenklatura. L'ex-segretario può contare su una settantina di parlamentari e su una vasta rete di supporter in tutt'Italia: la prospettiva inquieta i dirigenti del Pd i quali, per di più, sono scossi dalle iniziative dei "margheritini" di Fioroni e Marini e dai prodiani ulivisti doc. Sia gli uni che gli altri sono ad un passo dall'abbandono del Pd. I primi cercano sponde nel fronte moderato (non è escluso che qualcuno approdi addirittura alla corte del Cavaliere); i secondi non sanno bene dove collocarsi ma accusano il segretario di aver «perso il bandolo della matassa» e non gradiscono che «le decisioni vengono prese ovunque tranne che nelle sedi competenti». Perciò Parisi, Barbi, Soliani, Santagata, La Forgia e qualcun altro si riservano «il diritto di decidere caso per caso sulla linea da tenere sui provvedimenti che arriveranno in Parlamento». Berlusconi, assistito dalla fortuna, incassa divertito. Bersani, oltretutto, non sa che pesci prendere. Se si avventura ad ipotizzare un'alleanza con Vendola e la sinistra estrema è certo di perdere consensi moderati; se, al contrario, corteggia Casini e l'inesistente, per adesso, Terzo Polo, sa che dovrà rinunciare ad una buona fetta di elettori post-comunisti: lo zoccolo duro, insomma. Mai come in questi frangenti ci viene di consigliargli la rilettura di Che fare? di Lenin, consapevoli che comunque non l'aiuterà. Sul fronte dipietrista gli scontri, cominciati oltre un anno fa con un'inchiesta corrosiva pubblicata da Micromega sulla questione morale nell'Italia dei Valori, si susseguono senza esclusione di colpi. Le recenti fuoriuscite dal partito di due deputati hanno attizzato i livori contro il leader molisano. Dal suo delfino Luigi De Magistris, spalleggiato dall'eurodeputata Sonia Alfano e dall'animatore della rivista che aprì il contenzioso, Paolo Flores d'Arcais, viene, infatti, additato come responsabile di tutti i mali che stanno minando le basi di un movimento che aveva fatto della moralità e della legalità i capisaldi della sua azione politica. In soldoni: i "dissidenti" non tollerano più che Di Pietro, custode della cassaforte del partito, continui ad essere il padre-padrone dell'Idv e gli imputano candidature a dir poco avventate posto che in pochi anni otto parlamentari hanno cambiato casacca. L'ex-magistrato non è rimasto inerte e, privo del microfono che Santoro gli offre quasi ogni giovedì, ha replicato dal suo blog a De Magistris rinfacciandogli velleità golpiste; insomma gli ha detto chiaro e tondo che il suo posto non è a disposizione e la cessione non è all'ordine del giorno. Flores d'Arcais, non vola più tanto alto nei cieli della filosofia e, sceso dalla Repubblica di Platone tra la feccia di Romolo, ha fatto sapere a Di Pietro che il 74% dei lettori di Micromega, tutti giustizialisti di provata fede, ritiene che una grave questione morale nell'Idv esista. La telenovela andrà avanti chissà per quanto. Insomma, la coalizione sconfitta nel 2008, non soltanto risulta, con tutta evidenza, incapace di produrre una chiara proposta politica, ma è costretta a rimettere insieme i cocci per tentare di sopravvivere all'implosione che si è sviluppata al suo interno. Molte sono le cause di tale disastro, dalla gestione ai personalismi, dall'amalgama non riuscito nel Pd all'autoritarismo selvaggio nell'Idv. Ma ce n'è una che spiega il fallimento di questa sinistra: l'assoluta mancanza di idee nascosta, neppure tanto abilmente, dietro ad un antiberlusconismo ossessivo che le ha impedito di costruire un'alternativa. Con questi avversari, la navigazione del Cavaliere non sarà perigliosa come qualcuno, nello stesso centrodestra (ed oggi nella terra di nessuno), si augurava.

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