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Fini rifiuta di farsi giudicare

Gianfranco Fini

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Non mi dimetto e non accetto di essere messo in discussione. Gianfranco Fini interpreta così, in maniera molto personale, il suo ruolo super partes. E alla Lega che aveva presentato la richiesta di un confronto in aula sul ruolo troppo politicamente disinvolto con cui riveste la carica di presidente della Camera risponde piccato che è «inammissibile». Davanti al documento degli uomini di Bossi il leader di Futuro e Libertà ha scelto la strada dello scontro a muso duro. Non vuole essere giudicato, non ammette che la Camera possa discutere del suo comportamento. E non vuole abbandonare la sua poltrona, pur avendo chiesto invece ai suoi uomini di dimettersi da tutte le cariche di governo. Comportamento che farà nascere qualche malumore anche dentro Futuro e Libertà. Intanto ieri, in una lettera inviata al capogruppo del Carroccio Marco Reguzzoni, ha respinto la richiesta del Carroccio richiamandosi alla «inammissibilità di strumenti volti ad esprimere la sfiducia nei confronti del presidente d'Assemblea o a chiederne comunque le dimissioni». Una replica tutta giocata sul filo del galateo istituzionale ma che non fa altro che alimentare la polemica con la maggioranza. Le funzioni del presidente della Camera – spiega ancora Fini – «rendono del pari inammissibile lo svolgimento di dibattiti in sede parlamentare aventi ad oggetto l'esercizio delle funzioni presidenziali: è evidente infatti come da ciò deriverebbe un condizionamento nello svolgimento dei compiti attribuiti al Presidente d'Assemblea, con conseguente inevitabile affievolimento del suo ruolo di terzietà. Non ritengo di poter derogare a tali consolidati principi, anche nella considerazione che essi sono posti a garanzia, non già di chi "pro tempore" ricopre la carica, ma dell'istituzione nel suo complesso e del suo ruolo che, in tale ambito, è chiamato ad assolvere il presidente». «Peraltro – scrive ancora Fini – ove si intenda promuovere un dibattito in termini generali sul ruolo e sulle funzioni del presidente di Assemblea parlamentare nel nostro ordinamento, anche al fine di intervenire sui richiamati principi in ordine costituzionale e regolamentare, ciò può senz'altro aver luogo, attivando gli specifici strumenti previsti a tale scopo: in particolare attraverso la presentazione di apposite iniziative di riforma costituzionale o di modifica al Regolamento, il cui esame è rimesso alla sedi competenti». «Per tutte queste considerazioni – conclude – non posso accedere alla Sua richiesta». La richiesta della Lega aveva anche lo scopo di mettere il leader di Fli con le spalle al muro: accettandola si sarebbe esposto a un dibattito in aula dal quale difficilmente sarebbe uscito vincitore, rifiutandola – come ha fatto – ha dimostrato di essere «allergico» a qualsiasi critica. E contro di lui ieri sono arrivate le proteste di tutta la maggioranza. Fabrizio Cicchitto ha giocato la carta del sarcasmo: «Da molti anni è lecito discutere di tutto, anche dell'esistenza di Dio – commenta il capogruppo alla Camera del Pdl – figurarsi se non si può porre il problema e discutere di questa contraddizione istituzionale». Duro invece Marco Reguzzoni, capogruppo della Lega alla Camera «Purtroppo il presidente Fini sembra aver fatto un altro autogol: la fretta con cui si è precipitato a negare, senza alcun riscontro documentale, la possibilità di svolgere un dibattito in Aula, dimostra che sulla vicenda il suo ruolo è tutt'altro che neutrale. E, al contempo firmando una lettera in cui nega la possibilità al Parlamento di discutere sembra eccedere i poteri che gli sono conferiti in merito all'organizzazione dei lavori, esercitando le prerogative che appartengono alla conferenza dei capigruppo e all'Aula, che sempre è sovrana». Il ministro dell'interno Roberto Maroni ha sintetizzato così tutta la vicenda: «Non abbiamo alcun interesse a indebolire Fini, che è già indebolito dalla sfida che il 14 dicembre ha lanciato e ha perso».

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