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Addio ai continui stop di Fini

Gianfranco Fini

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Aveva già tutto in mente quella domenica. Quella domenica di ottobre 2009. A metà di quella settimana la Corte Costituzionale aveva bocciato il lodo Alfano e Silvio Berlusconi ne aveva detto di tutti i colori contro il presidente della Repubblica e sul fatto che il premier in Italia aveva ben pochi poteri. Poi rimase in silenzio per qualche giorno e quella domenica arrivò a Benevento per una manifestazione organizzata dalla sua deputata Nunzia De Girolamo. Salì sul palco e si gonfiò al punto che sembrava stesse per esplodere: «Come faccio a non parlare delle cose che ho dentro? Un amico che ho incontrato poco fa mi ha detto: "Be', è domenica!"». Fu chiaro, quel giorno, che il Cavaliere aveva in mente non una riforma ma una "rivoluzione istituzionale". Più poteri al premier, fine del bicameralismo perfetto con l'avvio del Senato delle Regioni, ridefinizione degli ambiti di Consulta, Csm e Quirinale. E poi la Giustizia, la riforma delle riforme per il Cavaliere. Ai primi di novembre, il premier rilanciò ancora: «Sarà il Parlamento nei prossimi mesi a definire quale sia il modello più adatto alla realtà italiana. Ciò che conta è che il titolare del potere esecutivo venga scelto direttamente dal popolo. E con lui la forma di governo. Di fatto, è quello che già succede nella costituzione materiale. È ora che la Costituzione formale sia aggiornata e messa al passo con la realtà del Paese». Poi venne la statuetta scaraventata in piazza Duomo contro il premier, un momento di quasi solidarietà nazionale e Berlusconi provò a cogliere quello spirito: «In questi giorni ho sentito vicini anche alcuni leader politici dell'opposizione. Se da quello che è successo deriverà una maggiore consapevolezza della necessità di un linguaggio più pacato e più onesto nella politica italiana, allora questo dolore non sarà stato inutile. Alcuni esponenti dell'opposizione sembrano averlo capito: se sapranno davvero prendere le distanze in modo onesto dai pochi fomentatori di violenza, allora potrà finalmente aprirsi una nuova stagione di dialogo». Ancora a marzo il Cavaliere chiese un mandato pieno per fare le riforme e, vinte le Regionali si presentò al cospetto di Fini. Il quale cominciò a porre ostacoli di ogni tipo. Vuoi il presidenzialismo? E allora si faccia con il doppio turno. Quindi il fuoco di fila tanto che il capo del governo fu costretto anche ad allentare la morsa. E ad aprile, inaugurando il salone del mobile a Milano, arrivò a confessare: «Le riforme istituzionali? Non sono le più importanti». Ma il fuoco di sbarramento dei finiani era appena all'inizio e da quel momento sarà un crescendo fino alla palude dell'estate e dell'autunno. Ora che i finiani non ci sono più, si può riprendere in mano il dossier. Con più libertà e meno alibi di prima.

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