Il piano per il premier del popolo
Gli occhi del Palazzo sono puntati sulla Corte Costituzionale. La decisione sul legittimo impedimento è attesa per gennaio (la data ufficiale è l’11, ma è probabile uno slittamento) e per molti si tratta di un altro spartiacque della legislatura. Ne siamo sicuri? Davvero il governo può cadere per un verdetto della Consulta? Ho qualche dubbio. Come sempre provo ad applicare un po’ degli insegnamenti della scuola realista al caso. Prendiamo lo scenario peggiore, cioè quello in cui il legittimo impedimento viene dichiarato pienamente incostituzionale. Che succede? Per Berlusconi riprende il processo Mills. E poi? Il premier ha già annunciato che parteciperà al dibattimento e già questo indica la sua precisa volontà di affrontare la magistratura a viso aperto. Perché Berlusconi ha anticipato la sua mossa? Perché sa benissimo che da sedici anni le inchieste della magistratura sono un formidabile propellente elettorale e se la spallata trova complici in Parlamento e nelle istituzioni, a quel punto tanto vale combattere con tutto l’arsenale a disposizione. I circoli illuminati che sognano il rovesciamento del governo per mano giudiziaria sostengono: Berlusconi in caso di condanna deve dimettersi. Risposta: e perché? Non siamo al terzo grado di giudizio, la condanna non è definitiva, le eventuali pene accessorie (l’interdizione dai pubblici uffici) non possono essere immediatamente esecutive, fino alla Cassazione Berlusconi è un presunto innocente. Altro argomento dei teorici della caduta hic et nunc: all’estero il premier condannato diventa impresentabile. Risposta lapidaria: e chi l’ha detto? All’estero e alle istituzioni finanziarie in questo momento interessa la stabilità dell’Italia, non il caos e l’avventura, l’ordine non lo sfascio istituzionale. Metto insieme questa serie di interrogativi e risposte per far capire che le speranze di deragliamento per via giudiziaria sono sempre improbabili e la soluzione alla crisi non passa attraverso una sentenza che, semmai, aprirebbe solo le porte alle elezioni anticipate e darebbe alla Lega il chiodo per appendere il quadro che raffigura l’urna spalancata. Le notizie e i rumors su quel che farebbe o meno la Corte hanno iniziato a circolare, ma il dato è che la partita della legislatura passa per un allargamento della maggioranza e la ripresa del dialogo sulle riforme. Oltre questa siepe, c’è il voto anticipato. Questo scenario è ben presente a Berlusconi e ai suoi collaboratori più stretti. Non a caso nel pentolone dei capigruppo del Senato, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, c’è un disegno di legge sull’elezione diretta del premier e la riforma del bicameralismo. Digerito il cenone e salutato l’anno, l’iniziativa politica del Pdl passerà proprio dalle riforme istituzionali. Sarà quello il momento in cui si vedranno le reali intenzioni non solo dei terzopolisti sulla carta, Casini-Fini-Rutelli, ma anche e soprattutto di un Partito Democratico che ha un bisogno disperato di recuperare la scena per non finire stritolato dalla morsa Vendola-Di Pietro. La lettera degli ulivisti a Bersani pubblicata ieri dal Corriere della Sera, l’intervista del «rottamatore» Pippo Civati oggi su Il Tempo, confermano che la sabbia nella clessidra per il partito di Bersani è praticamente esaurita. Il segretario ha annunciato un suo viaggio in Italia, penso che più modestamente dovrebbe fare un viaggio nel suo partito. La sola opportunità che resta al Pd è quella di provare a dire la sua - che non significa fare dichiarazioni al tg ma discutere e deliberare - sulle riforme. Perché il rischio concreto è quello che se Berlusconi allarga la maggioranza e il verdetto della Consulta non provoca cataclismi, per i democratici si apre un abisso di incertezza, perdità d’identità, seggi e pezzi da novanta. Gli ulivisti si lamentano della conduzione del partito? Non si capacitano della sua inattività? Colgano l’occasione per chiedere a Bersani di mettersi al tavolo delle riforme. Queste in teoria si possono fare solo con il Pd, ma con i tempi che corrono e i sondaggi che circolano nelle segreterie dei partiti, Pierferdinando Casini potrebbe cogliere la palla al balzo per prendere lui in mano il timone e condurre l’esito finale a una riforma che non taglia il centro, ma lo fa diventare fattore di stabilità. Il Pdl d’altronde se allarga la maggioranza non può certo pensare di vivacchiare e consegnare la storia di questa legislatura alla pregevole manutenzione contabile di Giulio Tremonti e alla riforma dell’Università di Maria Stella Gelmini. La cifra di un governo non può essere dettata dall’emergenza e dai continui stop and go. Il voto di fiducia del 14 dicembre ha cambiato lo scenario e la legislatura dovrebbe ripartire da dove era iniziata. Dall’intuizione corretta di Walter Veltroni che aveva avviato un dialogo con la maggioranza per fare le riforme, percorso poi abbandonato a causa delle forze centrifughe dentro il Pd e dall’azione demolitrice dell’alleato principale dei democratici, Antonio Di Pietro. Il Pd a metà gennaio ha una direzione che s’annuncia infuocata. Le varie componenti affilano le spade. Chi è davvero da tenere d’occhio è Veltroni. È da Walter che potrebbero arrivare delle novità, mentre il resto della truppa dei «ragazzi di Berlinguer» è capace solo di continuare questa linea suicida e niente più. Cosa può fare Veltroni? In teoria può riproporre se stesso alla guida del Pd. Il problema è che Walter è anagraficamente giovane ma politicamente vecchio o percepito come tale. Se non vuole davvero andare in Africa, deve trovare il coraggio di farsi levatore di un nuovo progetto politico e di un nuovo leader. Il problema del Pd è solo uno ma gigantesco: chi e con chi? Qui non ci sono per il momento risposte. O meglio, sul con chi qualcosa si può dire. Per esempio non con Di Pietro e neppure con chi sogna un’Italia che smonta il bipolarismo e torna all’era dei partiti con le mani libere. Il Pd dovrebbe comportarsi non come una fazione allo sbando e in preda al panico ma come un partito che è pur sempre la guida dell’opposizione e cercare il dialogo con l’altro grande partito della galassia politica, il Pdl, per disegnare un quadro di riforme che assicuri un futuro al Paese. Sarebbe interesse di tutti, degli stessi ulivisti prima di tutto. La stagione di Romano Prodi infatti è figlia del bipolarismo e i democratici dovrebbero tenerlo bene a mente. Come dovrebbero ricordare che la caduta di Prodi fu dovuta al fatto di avere un capo del governo che pur avendo una forte investitura data dalle primarie, non era altrettanto forte a Palazzo Chigi. Se la storia serve a qualcosa, il Pd ripassi bene la sua e colga l’ultima occasione che passa nella stazione della politica. Se non lo fanno, restano sul binario morto.