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Il presepe di Bersani

Pierluigi Bersani

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I tempi supplementari che il Senato si è concesso per votare ieri in via definitiva la tanto contestata riforma universitaria hanno fornito a Pier Luigi Bersani un eccellente pretesto per rinviare al 13 gennaio una riunione della direzione del Pd molto sc abrosa. I dirigenti del maggiore partito d'opposizione hanno avuto paura d'incontrarsi anche al solo scopo, magari, di scambiarsi gli auguri di Natale e Capodanno. Essi hanno ritenuto opportuno tenersi lontani persino dal presepe, se mai fossero riusciti ad allestirne uno nella sede del nuovo partito i vari Marini, Franceschini, Fioroni e Bindi per restare fedeli almeno in questo alla loro provenienza dalla Dc. Va bene che quelli della ex sinistra democristiana sono cattolici «adulti», come declamò una volta Romano Prodi, e non gradiscono per niente la benevola attenzione ancora riservata a Silvio Berlusconi e al suo governo dalle più alte gerarchie della Chiesa, di recente rimproverate per questo da una furente Rosy Bindi, presidente del Pd, in uno dei salotti televisivi dove la poveretta si sente più di casa, e più di frequente viene giustamente invitata. Ma il presepe dovrebbe pur sempre rimanere un richiamo irrinunciabile per ogni buon credente. Il rinvio della riunione della direzione del Pd, in verità già sospetta per essere stata convocata troppo a ridosso di Natale, quando di solito anche nei partiti si ha più fretta di tornare in famiglia che di affrontare approfondite discussioni, è la plastica conferma della crisi esistente nella maggiore forza di opposizione. Che per mesi, del resto, non è notoriamente riuscita a toccare palla nella grossa partita apertasi in Parlamento con la rottura tra i presidenti della Camera e del Consiglio. Più ancora della crisi esplosa nel maggiore partito della coalizione premiata poco meno di tre anni fa dagli elettori e guidata dal Cavaliere, è risultata sorprendente e al tempo stesso significativa l'incapacità dell'opposizione, e più in particolare della sua componente più numerosa, di trarne un sia pur piccolo vantaggio. Il Pd non solo non ha saputo proporre un'alternativa credibile e realistica, al di là delle generiche e inconsistenti formule dei governi di «transizione», di «emergenza», di salute più o meno pubblica, e persino di «liberazione» da quel Mussolini redivivo che, secondo quel matto di Dario Franceschini, sarebbe diventato o sarebbe sempre stato Berlusconi, ma si è diviso al suo interno ancora più di quanto già non fosse prima della crisi inopinatamente scoppiata nella maggioranza. Perduta la speranza di abbattere Berlusconi prima con i processi, poi con il gossip e infine con il pugnale politico di Gianfranco Fini, il Pd è rimasto alle prese con il vecchio e irrisolto problema delle alleanze per cercare di sconfiggere il Cavaliere sul terreno elettorale. È un problema che è già grande di per sé, tanti sono gli umori e le «anime» del partito nato dalla fusione fra post-comunisti e post-democristiani di sinistra ed altri cespugli, ma potrebbe diventare ancora più grave, diciamo pure drammatico, se le elezioni dovessero avvicinarsi. Cosa, questa, che francamente nessuno può escludere, per quanti sforzi abbiano fatto e siano intenzionati a fare il capo dello Stato e il presidente del Consiglio per scongiurarla: Giorgio Napolitano protestando pubblicamente contro la «prassi improvvida» del ricorso anticipato alle urne e Berlusconi cercando di allargare i margini troppo stretti della sua attuale maggioranza parlamentare, anche al costo di insospettire o irritare un alleato prezioso come Umberto Bossi. Nel Pd c'è chi, come Massimo D'Alema, coltiva il sogno di un'alleanza elettorale con Pier Ferdinando Casini, immaginandone anche una candidatura alla guida del governo e mettendo nel conto una rottura con Nichi Vendola, forse anche con Antonio Di Pietro. L'uno e l'altro sono infatti considerati incompatibili con lui dal leader dell'Udc ed ora pure del Polo della Nazione, o degli Italiani, in via di costituzione con Fini, Francesco Rutelli ed altri. E c'è chi, sempre nel Pd, insospettito anche per le aperture e chiusure che Casini alterna di fronte alle offerte dalemiane, dopo avere peraltro sperimentato nelle ultime elezioni regionali che l'Udc perde moltissimo quando si allea con la sinistra e tiene o guadagna quando si allea con il centrodestra, raccomanda di tenersi ben stretto il rapporto con Vendola, e naturalmente con Di Pietro. Bersani ha mostrato qualche giorno fa di condividere il sogno di D'Alema procurandosi le ironie e le critiche di Vendola. Che sono bastate e avanzate per far dire al segretario del Pd di essere stato frainteso dai soliti che «non capiscono un tubo». Il suo obbiettivo sembra pertanto quello di imbarcare nello stesso cartello i pur incompatibili Vendola e Casini. Non a torto, questa volta, Di Pietro gli ha dato dell'asino di Buridano: quello che, posto fra due cumuli di fieno perfettamente uguali, e alla stessa distanza, muore d'inedia perché non sa quale scegliere da mangiare.

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