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La triste parabola di Gianfranco zar del Parlamento

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Il presidente della Camera Gianfranco Fini

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I titoli di coda del 2010 stanno cominciando a scorrere, ma il film continua e i colpi di scena nella nostra commedia nazionale non finiscono di stupire. Ieri abbiamo appreso che in Italia esiste una carica istituzionale sulla quale il Parlamento non può aprire una libera discussione: il presidente della Camera Gianfranco Fini. Si può sindacare su tutto, dire che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è il dittatore Noriega e deve andare in galera (Di Pietro dixit), si può discettare sulla vita e i suoi misteri, sulla fede e l'ateismo, ma su Fini no, il dibattito non si può fare e a dirlo è lo stesso Gianfranco con una lettera dal tono zarista. Invece di fare la mossa democratica e illuminata, invece di dire alla Lega «prego, si apra una discussione, decida il Parlamento sovrano», Fini si trincera dietro una terzietà che ha perso da tempo. Il presidente della Camera e leader di Fli ha buttato un'altra occasione per recuperare un po' di coerenza. Ma qualsiasi richiamo al bon ton istituzionale sembra cadere nel vuoto. Siamo di fronte a un caso da manuale, un dottor Jekyll e Mister Hyde in chiave politica che si presenta così: 1. la mattina si sveglia e tuona contro il cesarismo e il partito proprietario; 2. la sera esce da casa e fonda un partitino che si chiama come il titolo di un suo libro e ha il suo nome in primo piano; 3. la mattina vota una legge elettorale che gli consente di scegliere i suoi parlamentari e vincolarli ai suoi piani; 4. la sera va in giro a dire che quella legge fa schifo e ora bisogna cambiarla; 5. la mattina ordina ai suoi ministri di dimettersi dall'incarico di governo; 6. la sera dichiara che per la sua poltrona la parola dimissioni non esiste; 7. la mattina dice che non può fare campagna elettorale per le elezioni regionali del Lazio perché lui è super partes; 8. la sera prende la macchina va a Bastia Umbra e da leader di partito chiede le dimissioni del premier; 9. la mattina s'affaccia alla finestra e dice: sono presidenzialista; 10. la sera chiude la finestra e proclama: sono parlamentarista. Mi fermo qui, sono giorni di festa e mi sento più buono anch'io. Cari lettori, Buon Natale.  

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