E nel futuro gli resta solo la Fondazione
Ci potrebbe essere ancora una Presidenza nel futuro di Gianfranco Fini. Non più quella però del Consiglio dei Ministri, alla quale egli avrebbe potuto aspirare più facilmente se fosse rimasto nella coalizione di Silvio Berlusconi, senza sconfinare dalla distinzione nella critica sistematica e corrosiva, e infine nella rottura. Ambirvi pure nella sua nuova collocazione politica, dove ci sono troppi altri aspiranti a quella carica, sarebbe avventato, ammesso e non concesso un ruolo decisivo del cartello guidato da Pier Ferdinando Casini anche dopo le elezioni, poco importa se ordinarie o anticipate. Per le stesse ragioni, ed altre ancora, si è allontanato dalle prospettive di Fini il sogno del Quirinale, che d'altronde egli stesso aveva negato in passato, offendendosi quando esso veniva evocato per spiegare la frequenza delle sue sortite contro il presidente del Consiglio, sempre gradite e valorizzate dalle opposizioni. Nel futuro, o futurino ormai, dell'ex cofondatore del Popolo della Libertà può esserci più realisticamente e semplicemente la Presidenza della Fondazione della Camera dei Deputati. Alla quale però egli potrebbe approdare solo se rimanesse al suo posto sino alla conclusione della legislatura. È proprio ciò che egli stesso ha d'altronde confermato di voler fare scambiandosi gli auguri di Natale e Capodanno prima con i dipendenti della Camera e poi con la stampa parlamentare. La Presidenza della Fondazione, con il suo bilancio autonomo, finanziato però in gran parte dell'amministrazione di Montecitorio, i suoi eleganti uffici nel fascinoso torrino dell'omonimo Palazzo, con vista mozzafiato sulla città, i suoi rimborsi spese, la sua segreteria, il suo direttore generale, i suoi consulenti, le sue macchine, i suoi autisti, la sua visibilità nel promuovere e gestire tutto ciò che serve a valorizzare il ramo più folto del Parlamento, spetta di diritto all'inizio di ogni legislatura al presidente uscente della Camera. Lo stabilisce l'art. 9 dello statuto della Fondazione creata nel 2003. A presiederla sono stati infatti sinora Casini, reduce dalla guida della Camera fra il 2001 e il 2006, e Fausto Bertinotti, reduce dalla guida nella legislatura breve del 2006-2008, naufragata con il secondo ed ultimo governo di Romano Prodi. Se Fini dovesse dimettersi da presidente della Camera prima della fine di questa legislatura ch'egli stesso ha imprudentemente portato sulla soglia dello scioglimento anticipato, avrebbe diritto all'ingresso nel Consiglio d'amministrazione della Fondazione, insieme con i suoi predecessori, non alla Presidenza. Accomunati a Giulio Andreotti nella ormai famosa convinzione che a pensare male si faccia peccato ma qualche volta s'indovini, molti pensano che sia proprio l'obbiettivo della Presidenza della Fondazione all'origine della ostinazione con la quale Fini respinge gli inviti alle dimissioni dal vertice di Montecitorio. Che ora gli vengono non solo dagli ex alleati di centrodestra, irritati dalla visibilità del suo ruolo istituzionale di neutralità usata nell'offensiva contro Berlusconi, ma anche da giornali e partiti d'opposizione, delusi dall'esito negativo della sua sfida al Cavaliere. Per smentire i critici più maliziosi Fini potrebbe riservare loro la sorpresa di dimettersi, magari dopo avere spacchettato con le sue bambine e gli altri familiari tutti i doni della Befana. Ma sarebbe imprudente accettare scommesse, tanto forte sarebbe il rischio di perderle.