Il semplificatore e il ribaltone
L'aria di Natale, si sa, spinge le persone a essere più generose del solito, a riempire l'albero di doni e il presepe di buoni propositi, a coltivare giorni di pace e serenità. Perciò, l'ultima trovata di Roberto Calderoli, ministro di Bergamo-Bèrghem, una vita trascorsa, poveretto, a reclamare la Padania, va giudicata con spirito natalizio. Stavolta il simpaticone che guida con estro il ministero della Semplificazione, ha spedito un biglietto d'auguri ad amici e conoscenti con il disegno di un'Italia rovesciata: al Nord campeggiano la Sicilia e il tacco della Penisola, al Sud chiude il confine del Brennero. «Stiamo ribaltando il Paese, via da Roma i ministeri», dice la scritta accompagnatoria e declamatoria. Non manca un'invocazione a Bambin Gesù: «Per Natale vorrei in regalo l'approvazione del federalismo fiscale, per l'anno nuovo vorrei tanti ministeri in Padania». Non sappiamo, in queste ore gelide eppur festose, quanti siano quelli che hanno chiesto il federalismo a Babbo Natale. A naso, direi non troppi. Meno che mai siamo in grado di immaginare l'esercito di amanuensi che avrà richiesto, come desiderio dell'anno e d'incompiuta felicità, di trasferire Tremonti a Varese, Frattini a Napoli o la Brambilla a Cagliari, come si evince dalla cartina dell'Immaginifico. Sorprende, semmai, un'altra cosa. Non già la scarsa fantasia del Semplificatore, ma l'ossessione che l'attanaglia. Ma Roma e l'Italia che gli avranno fatto? Da dove nasce questo rancore infantile? Come può il ministro passare parte del suo tempo a sbertucciare la nazione con innocui, ma indicativi esercizi di geografia pre-scolastica? D'accordo, il passo in avanti è incontestabile. Probabilmente, un tempo Calderoli avrebbe inviato il disegnino di un'Italia divisa in tre, secondo gli insegnamenti di Gianfranco Miglio, il Maestro dei tre cantoni: la storica cantonata. Oggi il ministro sembra rassegnato all'idea che l'Italia esista, e che sia perfino unita. L'unico e ultimo dispetto che può farle, è di capovolgerla. Prevedendo, in questo sforzo titanico, che il ministero di La Russa finisca in Sicilia e quello di Maroni addirittura in Calabria: così nessuno potrà dire che i leghisti pensano solo alle loro padanie. Ingegnoso! Certo, a essere maliziosi, qualcuno potrebbe notare che l'aver previsto per Maroni l'esilio in Calabria, «via da Roma», insomma, magari è un modo giocoso e gioioso per togliersi di dosso l'unico credibile erede di Bossi, detto el Senatùr. Mentre Calderoli si trastulla col ribaltone da cartolina, Roberto Maroni è cresciuto molto, politicamente parlando. In un partito monarchico, come la Lega, sarà il sovrano a designare, se e quando lo vorrà, il suo successore. Ma in questo momento nemmeno l'insostituibile Bossi potrebbe fare a meno di Maroni, il cui nome circola, non a caso, per la poltrona che più sta a cuore ai leghisti: la presidenza della regione Lombardia. Intanto, il deputato del Pd, Jean Leonard Touadì, accusa l'iniziativa di «vergogna», e Renata Polverini, presidente della regione che il ministro vorrebbe decurtare di poteri, dice che col cavolo sarà trasferita anche e solamente la Consob. Ragazzi, non infierite: manca meno di una settimana alla notte santa per tutti, e non soltanto per chi ci crede. Mandiamo, invece, al Semplificatore l'augurio sincero che anche a lui capiti, un giorno, la grazia. La grazia di scoprire la bellezza di Roma, dell'Italia e degli italiani, che non sono soltanto un'espressione geografica.