La Cei vuole la continuità Mai stato un divorzio col Cav
Perchéla Chiesa ha sempre seguito un sacro e razionale canone politico: la continuità. In tutto. Nella religione, come nelle alleanze. Carl Schmitt, definiva - non a caso - la Chiesa «complexio oppositorum». Un sistema di opposti. Ciò che passa dalle sacre stanze conduce sempre a Dio e al bene comune, al bene sostenibile a vantaggio di tutti. Da alcuni decenni, gli economisti e gli intellettuali progressisti si affannano nella ricerca di un'araba fenice definita «economia sostenibile»; bene, la Chiesa di sostenibile ha tutto, anche l'economia, tant'è vero che Berselli, nel suo ultimo e acuto saggio, «L'economia giusta», cita la dottrina sociale della Chiesa una pagina sì e l'altra pure. La Chiesa salva la società. Anche sul piano socioeconomico. Lo richiama anche l'ultimo saggio del Card. Scola. Ecco, dopo alcune schermaglie, la Cei, dopo la benedizione in tempi non sospetti di Benedetto XVI, rilegittima Berlusconi. Perché solo con Berlusconi può essere realizzato un patto sociale per l'Italia, in grado di contemplare: la scuola libera, i contributi alle scuole cattoliche, la sussidiarietà nell'orizzonte del federalismo solidale, il quoziente familiare e perfino le riparazioni alle chiese sui territori disastrati di questo nostro Belpaese. Tanta bella roba, che solo il Cavaliere può assicurare alla Chiesa. Naturalmente, non c'è solo il «conquibus» di mezzo, c'è anche il «de cuius», la cultura. Facciamo un passo indietro. Con la presenza di un «animale politico» come Ruini alla guida della Cei, il centrodestra, in ogni ordine e grado, aveva un riferimento certo e ciò valeva, parimenti, per la Chiesa. Tutto ciò ha garantito a quest'ultima un profilo pubblico altrimenti impensabile. Nel frattempo - fatto storicamente decisivo - si è aperto un dibattito gigantesco sul ruolo pubblico della fede e della religione che, consacrando definitivamente l'aura teologica e spirituale dell'allora Card. Ratzinger (fino all'apoteosi del viaggio in Gran Bretagna, alla luce di Newman), ha riaperto la partita politica su un piano fondativo e, dunque, storicamente imprescindibile. Sono esperienze che non si dimenticano e che certamente la Chiesa non ha dimenticato. Berlusconi si è dimostrato oggettivamente saldo sui valori cristiani e occidentali, mentre, soggettivamente, continuava ad essere Citizen Berlusconi, con tutti i pregi e i difetti. Fatto sta che, quando la Cei deve rientrare in campo e durante una crisi che l'ultimo Rapporto del Censis definisce legata ai desideri costituenti la vita concreta, non ultima quella spirituale, delle persone, scappa sempre fuori Berlusconi. Ritorna il criterio della continuità. Il criterio della Chiesa per scegliere gli interlocutori e gli amici politici risiede nella dimensione pubblica e nella capacità di costoro di realizzare il bene comune. Il resto è assai meno rilevante. Con grande disdoro della sinistra cattolica, delle Rosy Bindi e degli ultimi dossettiani i quali, con la solita spocchia catto-comunista, pensano di poter avere permanentemente l'investitura di Santa Madre Chiesa. Ma così non è. Non lo è stato, in realtà, neanche con Dossetti in persona, anche prima che si mettesse a fare il guru clericale della (Santa) Costituzione. No, niente da fare, la Chiesa, come «maestra di umanità» (Paolo VI), segue la dinamica della vita e degli interessi. È come la descrisse Bernanos nel «Diario di un curato di campagna»: una donna di campagna, con il seno prosperoso, intenta ad allattare i suoi figli e, quando è il caso, a mollare qualche salutare sberla. Ma stavolta le sberle non le ha prese Berlusconi, casomai qualche scappellotto l'ha preso Casini. Nel suo caso, il tre - come «terzo» polo - non rappresenta il numero perfetto. Più che rappresentare la Trinità, somiglia alla Trimurti.