Pier e il fantasma di Marini
Casini lo aveva detto per primo: «la giornata che conta è il 15 e non il 14». Il leader Udc sapeva che il voto previsto oggi non avrebbe determinato grandissimi scossoni. Che Berlusconi ottenga la fiducia oppure no, il nodo governabilità resta. Ed è per questo che i fari sono pronti ad illuminare gli scenari del giorno dopo. Da domani infatti il premier (in carica o dimissionario) dovrà scegliere quale strada intraprendere per il futuro prossimo. Il superamento dello scoglio parlamentare di oggi è per Berlusconi condizione necessaria ma non sufficiente per mettere a riparo la legislatura. Volendo sintetizzare, il Cav. ha dinanzi a se un bivio: o apre le porte del governo a Casini (non senza un passaggio di crisi formale – e pilotata - al Quirinale) oppure aspetta che sia Umberto Bossi a chiudere quelle del Parlamento e quindi ad accompagnare al voto nella prossima primavera. Non c'è dubbio che tocchi al presidente del Consiglio la prima mossa. Aver ieri evocato un patto di legislatura con i moderati può essere considerata solo come una mossa tattica, come una foglia di fico per quanti volessero singolarmente dall'opposizione transitare verso il centrodestra. Non stupisce quindi la risposta negativa dell'Udc. Le condizioni politiche per una eventuale (e ad oggi improbabile) intesa con il Pdl e la Lega passano solo attraverso il sentiero stretto del Colle più alto. Sia Casini che Cesa lo ripetono a Berlusconi da mesi e non hanno di certo cambiato idea. Ad essere mutato è il contesto attorno ai centristi. Il Pd resta avvolto nelle proprie contraddizioni e neppure la manifestazione dello scorso week end ha fatto bene alla sinistra. Allo stesso modo Fini ha rivelato tutti i suoi limiti politici: la sua compagine non è coesa, la trasparenza non è la sua virtù maggiore (l'incontro segreto fra Bocchino e Berlusconi è paradigmatico) e l'avversione nei suoi confronti è uno dei pochi tratti che unisce tutto il Vaticano. Da parte sua, il premier non solo non perde consensi ma addirittura li aumenta. Tutto questo, evidentemente, complica il percorso dei centristi. Su via dei Due Macelli, sede dell'Udc, incombe il fantasma di Franco Marini. Con la crisi dell'ultimo governo Prodi, l'ex presidente del Senato fu incaricato dal Capo dello Stato di esplorare l'ipotesi di una nuova maggioranza. Il tentativo era quello di aggiungere all'Unione di centrosinistra anche i parlamentari di Casini. Gli udiccini non vollero andare a sinistra e, convinti dell'accordo elettorale con Berlusconi, decretarono la fine della legislatura ed il voto anticipato. Siccome il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, Fini tradì l'alleato centrista e salì sul predellino del Cav che così vinse le elezioni lasciando Pier e i suoi all'opposizione. Cosa sarebbe accaduto se il governo Marini avesse visto la luce? Questo dubbio, irrisolto e irrisolvibile, torna a ronzare nelle orecchie dei centristi. Se mai Berlusconi offrisse davvero il varo di un nuovo governo, bisognerebbe rinunciare ancora una volta per poi riconsegnare il Paese alle urne e quindi al sicuro successo della Lega? La prova della responsabilità è arrivata. Per Berlusconi, e anche per Casini.