La sfiducia smascherata

Tam tam di ieri sera in Parlamento: «I voti ci sono». Vedremo stamattina se Berlusconi ha la benzina per andare avanti o se deve interrompere il Gran Premio del Governo. Ma anche all’ultimo tentativo di trattativa offerto da Fli, «lasci prima del voto», Silvio non abbocca. La sfiducia è così smascherata. Ma, fiducia o non fiducia, se guardiamo bene cosa accadrà da domani in poi, per il Cavaliere sarà comunque un successo. Se incassa la fiducia, ottiene come un fulmine in una giornata di sole la caduta di Fini dal piedistallo di cartone degli statisti; se il governo viene messo sotto in Parlamento, Berlusconi dovrà faticare un po’ di più, ma otterrà in ogni caso il traguardo di cui tutti hanno paura, le elezioni. Non occorre aver seguito i corsi di politica all’università di Harvard per capire che questo scenario è realista, non un’utopia applicata alla carta stampata. «I voti ci sono», ripetevano gli esponenti del centrodestra ieri a Montecitorio. E se oggi ci saranno, il film avrà una sceneggiatura accelerata, un cambio di ritmo e un esito che le sagome della Grande Coalizione contro il Dittatore non avevano previsto. Fiumi d’inchiostro sono stati sprecati per dire che Berlusconi è finito, archiviato e pronto per le passeggiate ai giardinetti. Ancora una volta i parrucconi hanno intinto il pennino nella loro superbia e nel pregiudizio. Berlusconi quando è in difficoltà, quando è messo all’angolo, quando è dipinto come un morto che cammina, trova l’energia e la fantasia per combattere quella che poi diventa regolarmente la sua penultima battaglia. Un suo irriducibile avversario mi confessò: «È un leone». È questo il dato che in troppi hanno dimenticato in questi mesi. Il Cavaliere non è un tipo che si appassiona ai giochetti di Palazzo, si è sempre considerato un outsider, la melina parlamentare lo annoia, ma se un avversario tenta di sferrargli il colpo di grazia, allora il felino che è in lui si risveglia. È successo anche stavolta e quella che per Fini e l’allegra brigata della Restaurazione doveva essere poco più di una pratica di liquidazione di un sinistro in campagna, è diventato un incubo. In realtà penso che Berlusconi abbia già in mente un piano per andare al voto e provare ad asfaltare gli avversari, ma siccome è un combattente, ha deciso di mettercela tutta per assestare subito un colpo da ko a Fini. Perché se davvero «i voti ci sono», se oggi l’aula di Montecitorio vota la fiducia - la seconda in due mesi - al governo Berlusconi, allora per Fini sarà davvero complicato restare presidente della Camera. Naturalmente ha messo le mani avanti e ha già detto che non lascerà lo scranno, francamente non penso che in caso di affermazione del Cav potrà far finta di niente e continuare a presiedere l’aula come lo speaker della Camera dei Lord. Si decide tutto su un pugno di voti e questo significa naturalmente che l’esecutivo può anche cadere. Ma per l’armata antiberlusconiana sarà una vittoria di Pirro. Caduto il Cavaliere, si spalanca il cancello del voto anticipato. Pdl e Lega andranno dritti da Napolitano a dire che non ci sono altre strade praticabili e re Giorgio dovrà prendere atto dell’ineluttabilità delle elezioni. Berlusconi in questa partita a poker non ha alcun interesse a passare la mano e per questo ha respinto l’ultima proposta indecente di Fini. Non si dimette, non gli conviene, vede il gioco dell’avversario, aspetta il verdetto dell’aula e poi aspetta che il supremo cartaro (il Quirinale) cominci a dettare le nuove regole, mischi il mazzo e dia altre carte. La situazione è semplice: non ci sono spazi per governi tecnici, papocchi improvvisati, chiamate per fantomatici salvatori della Patria. Quello a cui stiamo assistendo è un brutale gioco a eliminazione che andrà avanti in più sessioni. Se Berlusconi incassa la fiducia oggi, Fini viene scaraventato in un cono d’ombra e per lui non sarà facile rialzarsi; se il Cav viene disarcionato, si rialzerà lo stesso, farà una fermata al Quirinale con Bossi e poi ripartirà per la campagna elettorale. I voti ci sono? I voti non ci sono? Alla fine gli scenari sono sempre tre e cambiano solo i tempi e il peso d’interdizione del Cav. Ma gli esiti restano i seguenti: 1. il terzo polo dopo la fiducia si spappola, diventa un fantasma di mezzo inverno e a quel punto la maggioranza apre una trattativa per portare l’Udc nel centrodestra e sostituire i finiani con i casiniani; 2. Futuro e Libertà va a carte quarantotto, comincia un rientro nei ranghi di deputati e senatori finiani nel Pdl e il governo torna all’autosufficienza; 3. ogni mediazione, accordo o allargamento della maggioranza non riesce, salta la diga istituzionale e, ancora una volta, l’epilogo è quello delle elezioni anticipate. Sono certo che Berlusconi ha valutato benissimo questo scenario, glielo vedevo dipinto in faccia mentre sorrideva durante la replica di ieri sera a Montecitorio. Qualunque cosa accada, il Cavaliere ha già capito che ogni strada che allontana il suo nome dalla guida di Palazzo Chigi conduce automaticamente alla campagna elettorale, cioè il suo naturale terreno di conquista. Bastava osservare Umberto Bossi per capire che la coppia ha già il coniglietto nel cilindro. Senza un accordo con il Pdl e la Lega non ci sono margini per alcun ribaltone. E se anche vi fosse il temerario progetto e lo si mettesse pure in pratica, nel giro di un paio di mesi quel governicchio scatarrato da una situazione caotica, verrebbe travolto dalla crisi, dall’incapacità di dare risposte concrete e dalla totale assenza di legittimazione popolare. Dopo un paio di mesi, la coppia B&B conquisterebbe l’Italia, lasciando le armate avversarie a leccarsi le ferite. Fuori dal Parlamento. Fini ha commesso un imperdonabile errore, ha sottovalutato - ancora una volta e dopo tanti anni di coabitazione - la capacità di reazione di Berlusconi, il suo istinto di sopravvivenza. Quando ieri ha offerto al presidente del Consiglio la possibilità di dimettersi prima del voto, ho avuto l’ennesima prova di quanto anche nel centrodestra nessuno abbia compreso che Berlusconi non si sconfigge con i mezzucci dell’intrigo di Palazzo. Finché Gianfranco ha potuto fare la guerriglia nella giungla, ha dato estremo fastidio a Berlusconi, l’ha fatto innervosire inducendolo a commettere non pochi errori. Ma quando inebriato dai giornaloni che lo dipingevano come un formidabile prodotto di Buckingam Palace, Fini ha ceduto al suo Ego e dichiarato guerra a Berlusconi, in quel preciso istante ha finito di giostrare come voleva. Aprire la crisi è stato come scoperchiare un silos pieno di missili. Solo che il pulsante rosso stava a Palazzo Chigi. E così tutto è diventato difficile e il chiaro logoramento finiano s’è tramutato in una crisi al buio. A quel punto il Parlamento, i voti, la figura del Presidente del Consiglio, le regole del gioco, hanno spostato i venti in favore di Berlusconi e Fini ha perso la sua forza di trascinamento. È il finale di una campagna sgangherata che, comunque vada, non farà bene all’Italia, ma forse aprirà bene gli occhi, una volta per tutte, agli italiani.