Il cortocircuito politica-giustizia fa ancora scintille
Le lancette dell’orologio sono ferme. La sabbia nella clessidra cristallizzata. La politica italiana continua ad essere inchiodata al 1992, agli anni di Mani Pulite e della (finta) rivoluzione giudiziaria. Finché un buon elettricista parlamentare non ripara il cortocircuito tra politica e giustizia questo Paese non farà alcun passo in avanti. E dunque non mi sorprende che sulla scena del voto di fiducia del 14 dicembre compaiano anche le toghe, sarebbe un’eccezione il contrario. Tutta la storia dell’era berlusconiana è costellata dai colpi di tacco, di punta, di petto, di testa e di piede della magistratura. Il vero giocatore che in questi sedici anni ha avuto campo libero per fare le sue manovre, dare spesso dei calcioni e non beccare mai un cartellino giallo. La storia si ripete. Anche negli errori. E mentre la Corte Costituzionale saggiamente e con spirito di collaborazione e rispetto tra poteri dello Stato, rinvia la decisione sul legittimo impedimento, la procura della Capitale indaga sul passaggio dei parlamentari da uno schieramento all’altro. E naturalmente lo fa a senso unico, controllando cioè quelli che dall’opposizione pensano di votare la fiducia al governo. Quella della magistratura è una sortita molto pericolosa. Interviene a piedi uniti nel processo parlamentare e rischia di coartare la libera volontà di deputati e senatori. Non si era mai visto niente del genere. E chi si straccia le vesti per i cambi di idea, opinione e casacca è non solo un ipocrita ma anche un cattivo interprete della Costituzione alla quale si richiamano i presunti Padri della Patria. La nostra Carta, sul divieto di mandato imperativo, è molto chiara. L’articolo 67 spiega che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato», cioè non può essere sottoposto ad alcuna pressione da parte del partito, le sue opinioni e idee sono libere e se sono in difformità dal suo gruppo la sanzione può essere solamente politica. Sarà l’elettore a giudicarlo quando si vota. Non un magistrato di turno con qualche idea approssimativa e faziosa della politica. Il trasformismo può essere criticato duramente, ma è rigorosamente bipartisan. La lista che pubblichiamo a pagina 3 parla da sola. Si vuole ridurre la politica a roba da cancelleria e verbale di questura? Benissimo. Allora si apra un fascicolo anche sugli eroi che sono passati dalla maggioranza all’opposizione. Scopriremmo di che pasta umana sono fatti i liberatori dal Regime dei Regimi. E non ci sarebbe da ridere, ma da piangere.