La rivincita degli archivi di carta su bit e computer

.E con lui migliaia di amanuensi che per secoli hanno vergato a lume di candela caratteri di inchiostro sulle pergamene. Già, dopo secoli di sacra impressione su fogli di carta di quanto accadeva nel mondo, la tecnica ha imposto la smaterializzazione, la digitalizzazione e la compressione in bit (unità elementare del linguuaggio informatico) di ogni avvenimento umano. La carta morirà, gridarono ai quattro venti, i propugnatori del progresso. E con loro gli archivi per i quali suonò la campana a morto. Fine degli scaffali polverosi e del sempiterno, almeno fino a ieri, faldone. Quel raccoglitore con le copertine rigide, legato con una fettuccia di tessuto bianco, spesso sfilacciato dal tempo. Colori opachi e con qualche concessione alla tramatura a scacchi. Riposti in file ordinate sugli scaffali (legno e metallo pari sono) custodivano segreti nel morigerato silenzio dei caveau. Chiusi nei depositi accuratamente protetti da serrature, al massimo elettroniche, erano il maggior baluardo all'intrusione e al furto. Non solo. Anche coloro che vi avevano accesso riuscivano ad arrivare alla meta dell'informazione richiesta e ricercata solo attraverso il passaggio iniziatico delle cifre e dei codici. Tipo: Area 2, fila 21, scaffale 30, numero 3250, atti repertorio 4221. Difficile, senza l'aiuto di un competente uomo d'archivio, Diogene di Sinope di turno, muoversi tra cardi e decumani del «castrum» archivistico. Un rifugio inespugnabile agli occhi estranei dunque. Rigido custode di segreti. Imperturbabile e inamovibile con poche concessioni alla tecnologia. Da annoverare forse l'introduzione dell'aria filtrata e temperata per proteggere il più a lungo possibile le informazioni per i posteri. Un mondo finito. Stop alla polvere e agli angoli dei documenti corrosi da funghi, acari e da qualche illetterato topino. Non in grado di apprezzare gli schizzi leonardeschi tracciati su un foglio ma attratto irresistibilmente dal gusto di papiro antico. La carta, vituperata e avversata dai cavalieri dell'informatica, era data per spacciata. E con essa tutto il suo pregevole indotto. Libri, giornali, musica, video e tutto lo scibile umano avviato a essere travasato ineluttabilmente nel cyberspazio. Ridursi a miliardi di zero e uno. Pronti a ricomporsi a comando e desiderio dell'utente. E invece no. Il furto informatico di Wikileaks riporta in auge il valore del sano archivio di carta. Da lì sarebbe stato impossibile portare via una immensa quantità di dati come quella che ha messo alla berlina i governanti di mezzo mondo. Il sito di Assange ha reso pubblici in rete un milione di documenti con un solo clic. Da un sito stipato di carte l'operazione sarebbe durata anni. Non prima di aver perforato muri di mattoni e aperto porte di acciaio. Indietro non si torna. La civiltà digitale è tra noi. Ma a volte gli antichi metodi restano i migliori. Insomma: Scripta manent. I dati informatici volant. Gli archivisti sono in attesa di richiamo.