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Il Pd resta con il cerino in mano

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Pierluigi Bersani

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La notizia è ufficiosa. Ma sembra che giovedì, al vertice del Pse di Varsavia, quando Massimo D'Alema ha annunciato che la mozione di sfiducia al governo Berlusconi aveva raccolto la maggioranza alla Camera, i presenti abbiamo applaudito a lungo e spontaneamente. Evidentemente non avevano ben chiaro i termini della questione. Perché ammesso che la mozione ottenga la maggioranza a Montecitorio, c'è un elemento che dovrebbe far riflettere i Democratici. Allo stato attuale sono stati presentati alla Camera due testi: uno di Pd e Idv, l'altro del Terzo Polo. Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli, però, non hanno alcuna intenzione di votare la mozione di Pier Luigi Bersani e Antonio Di Pietro. Quindi, se vogliono sperare di far cadere il governo, Pd e Idv dovranno necessariamente far convergere i propri voti sul testo del Terzo Polo. E così i Democratici, principale partito dell'opposizione, si troveranno ancora una volta costretti a rincorrere. Secondo il professor Miguel Gotor (lo ha scritto sul Sole 24Ore di venerdì) questo fa parte di una strategia: «Bersani sta ottenendo il logoramento di Berlusconi per interposta persona (tramite Fini e Casini), ma senza rompere con Di Pietro e Vendola».   L'impressione, però, è che le cose siano leggermente diverse. Attualmente il Pd è rimasto isolato. L'Udc sembra aver trovato un canale di dialogo proficuo con Fli che potrebbe portare alla nascita di un nuovo polo. Sono loro che "distribuiscono le carte" e condizionano il dibattito politico. Con i Democratici che non sono stati neanche chiamati al tavolo. Un esempio su tutti. Giovedì sera a Torino si è tenuta la prima riunione della coalizione che appoggia l'attuale sindaco Sergio Chiamparino. Un primo incontro per capire il percorso da qui alle comunali del 2011. C'erano Pd, Idv, Moderati e Sel, più la Federazione della Sinistra. Assenti Udc e Api che, ha spiegato il segretario provinciale dei Democratici Paola Bragantini, «hanno scelto di non partecipare nel rispetto di quello che è il quadro politico nazionale». Insomma, per ora, il "centro", non sembra intenzionato a tessere un quadro di alleanze organiche in vista delle comunali, dopo chissà. E così i Democratici si trovano loro malgrado costretti a rincorrere Vendola (c'è chi addirittura vorrebbe annetterlo) nella speranza che smetta di capitalizzare consensi alle loro spalle. Enrico Letta lo ha detto chiaramente: «Se lui smette di lanciare un'Opa contro il Pd, forse può capire che insieme possiamo fare qualcosa».   Il punto è che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, Vendola e Di Pietro sono gli unici che sembrano ancora interessati a costruire qualcosa insieme al Pd. Bersani non può fare a meno di corteggiarli. E la cosa non fa certo piacere agli ex Popolari e ai veltroniani che, non a caso, continuano a rimanere sul piede di guerra. Presentando ieri il movimento Modem a Lamezia Terme Giuseppe Fioroni è stato chiarissimo: «Nel 2008 avevamo il 34% dei consensi e da due anni e mezzo abbiamo perso due volte i voti dell'Udc e quelli di Vendola che stiamo inseguendo. Il più grande partito di opposizione ha il dovere di ideare il programma e non pensare ad inseguire gli altri». Sulla stessa lunghezza d'onda Walter Verini, il braccio destro di Walter Veltroni, che due giorni fa su Europa, citando Sergio Chiamparino, scriveva: «La domanda non è "con chi ci alleiamo", ma chi "sceglie di allearsi con noi" per cambiare questo paese». E ancora: «Insieme, in un partito grande, componenti più radicali e più moderate potrebbero non solo convivere, ma trovare sintesi feconde in un forte baricentro riformista che è il fulcro della ragione sociale del Pd. Guardare solo a sinistra significa rinunciare a quell'idea di Pd». Netto anche il commento del vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai Giorgio Merlo: «In Italia, da sempre, si vince al centro. Rifare un partito di sinistra, rincorrere Vendola come propone Latorre o candidare nelle liste del partito comunisti non pentiti, sarebbe la conferma che le elezioni, al di là della loro data, sarebbero per noi perse in partenza». Ed è in questo scenario che, sabato prossimo i Democratici proveranno a riempire piazza San Giovanni. Non male come premessa.

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