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Quei poveri illusi dei ribaltonisti

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L'aspetto più ridicolo, anzi grottesco, della tragica farsa politica che si sta recitando in questi giorni sulla scena nazionale è l'incrollabile fede che tutti i capi e capetti del branco ribaltonista sembrano avere nella grandezza del loro destino e nel suo fatale manifestarsi non appena sarà rimosso quello che essi mostrano di credere che sia l'unico ostacolo al trionfale compimento della loro gloriosa missione. Ognuno di essi, infatti, sembra convinto di essere un drago della politica, un mago della Repubblica, un salvatore della nazione che per poter esprimere a vantaggio del paese tutto il suo genio salvifico non deve fare altro che abbattere e rimuovere quell'unico impedimento. Credono insomma che, una volta abbattuto Berlusconi, potranno finalmente sfoderare tutto il loro talento di missionari redentoristi in salsa patriottica e così realizzare se stessi al servizio degli italiani. Tanta fiducia in se stessi e nella propria missione sembrerebbe un vago indizio di megalomania. Ma l'idea che la loro grandezza possa essere soffocata dalla semplice esistenza di un rivale come Berlusconi è in realtà una confessione di miseria. Soltanto dei politicanti assolutamente privi di dignità e fierezza possono confessare che il loro diritto a rivelarsi all'altezza del loro supposto destino possa essergli sottratto da qualcosa o da qualcuno che non sia la loro stessa mediocrità, la loro segreta mancanza di fede in se stessi, la loro disperata illusione di aver diritto a un futuro diverso da quello, miserando, che fatalmente gli procurerà la loro stessa invidiosa meschinità. In questa indecorosa professione di pochezza, questi boriosi maestrini della politica politicante non sono in fondo molto diversi da quegli armenti di studenti che essi sperano di poter sfruttare e incantare a vantaggio dell'unica impresa di cui si sono finora mostrati capaci: il linciaggio del Cavaliere. Sia gli studenti piazzaioli che i politicanti ribaltonisti – gli uni dichiarandosi derubati del proprio futuro da questo governo e dal suo premier, gli altri dichiarandosi privati del proprio destino da Berlusconi – appartengono in fondo allo stesso ceppo umano: quello di quegli accattoni morali che nella presenta congiuntura nazionale, sapendosi privi, per intima insufficienza, di ogni vero futuro e destino, hanno deciso di consolarsi pensando che esiste un solo colpevole di tutto, compresa la loro indigenza: il furfante di Arcore. Il tipo umano del quale questi poveracci sono del resto soltanto una variante italica fu così descritto da Nietzsche in un passo della Genealogia della morale: «Qui brulicano i vermi dei sentimenti di vendetta e di rancore; qui si va continuamente tessendo la rete della più maligna congiura - la congiura dei malriusciti contro i ben riusciti e i vittoriosi; qui l'aspetto stesso del vittorioso viene odiato. E quante menzogne per non voler riconoscere questo odio come odio! Che sfoggio di parole grosse e atteggiamenti, quanta arte di onesta diffamazione! Noi soltanto siamo i buoni, i giusti - dicono costoro, - noi soltanto siamo gli uomini di buona volontà». Si aggirano tra noi come rimproveri viventi. Pullulano tra loro i bramosi di vendetta travestiti da giudici, sempre pronti a sputare su tutto quanto non ha l'aria scontenta e va di buon animo per la sua strada. Fra costoro non manca neppure la genia degli onanisti morali». In questo profetico passo, scritto suppergiù centotrenta anni fa, mancano solo i nomi e le facce delle star del nostro circo mediatico, politico e giudiziario.  

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