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Napolitano ribalta Fini

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

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Riaffermare le prerogative. Rimettere a posto ruoli e protagonisti. Chiarire ambiti di competenza e cancellare gli sconfinamenti. La nota che viene fatta filtrare dal Quirinale ieri sera fa ordine nel generale impazzimento del mondo politico. Da giorni sul Colle si ragionava per un intervento che suonasse di monito per tutti: sciogliere le Camere è un potere che spetta al presidente della Repubblica. Chi altri s'azzarda a dire che si va al voto o, al contrario, che non si apriranno le urne a breve, stia zitto, resti al posto suo. Napolitano sceglie la linea di non intervenire con una nota ufficiale. E la forma anche conta, soprattutto per uno che ha messo piede la prima volta in Parlamento nel 1953. Si sceglie di far filtrare una presa di posizione. E qual è? Il Quirinale ribadisce che nessuna presa di posizione politica di qualsiasi parte può oscurare il fatto che ci sono prerogative di esclusiva competenza del presidente della Repubblica. E perché questa irritazione del Colle? Dalla presidenza della Repubblica si fa notare la necessità di mettere al riparo le prerogative di esclusiva competenza del Capo dello stato dalla polemica politica di questi giorni che, in vista del voto del 14 dicembre, si esercita anche nel delineare scenari che sconfinano, appunto, nelle prerogative del capo dello Stato. Quali prerogative? Una sola: lo scioglimento o meno delle Camere e l'eventuale ricorso alle urne. Da diversi giorni sul Colle c'era una certa fibrillazione per il continuo invocare le urne. Berlusconi che insiste: o fiducia o voto. E tutti gli altri che rispondono: no, niente voto; si può fare un altro governo. Il Cavaliere in un certo qual modo aveva intuito e infatti negli ultimi due giorni non ha più evocato in alcun modo le elezioni. Fini invece ha continuato a sostenere la sua tesi, andando un po' oltre. E annunciando: «L'Italia non andrà a votare», ha detto il presidente della Camera parlando a Mestre. Poi ha aggiunto: «Il Capo dello Stato sa cosa fare». «Non si andrà a votare ma non si potrà continuare con la situazione che c'è oggi. Non dico di più», ha concluso il leader di Futuro e Libertà. O la terza carica dello Stato? Ecco, il punto è proprio questo. Al Quirinale c'è una certa insofferenza per il doppio ruolo di Fini. Uno che alla mattina parla come presidente della Camera e con il calar delle tenebre come leader del nuovo partito: ieri sera ha presenziato a una cena di raccolta fondi con mille invitati (mille euro a testa a Villa Miani a Roma) per Futuro e Libertà. Un doppio ruolo che Napolitano non sopporta più anche in vista del possibile avvio delle consultazioni che potrebbe esserci dopo il 14. E in quel caso Fini sarebbe costretto a salire al Colle prima come presidente della Camera e successivamente come capo di Fli. Inaccettabile per la presidenza della Repubblica che ha sempre dato grande importanza al colloquio costante con i presidenti delle due aule parlamentari. A evidenziare che Fini è davvero andato oltre i suoi limiti ci ha pensato Altero Matteoli, ex finiano e da sempre molto in sintonia con il Colle. Il ministro delle Infrastrutture, parlando ai quadri del Pdl a Prato, ha notato efficacemente: dalle dichiarazioni di Gianfranco Fini della mattina, a proposito della gestione della crisi, emergeva che «il presidente della Camera interpreta il presidente della Repubblica. Se lo avesse fatto Berlusconi sarebbero scoppiate le polemiche. Il Presidente della Repubblica avrebbe fatto una nota di protesta e invece allo stato non ho visto nulla di tutto questo». Allo stato, appunto. Mezz'ora dopo arriva la puntualizzazione del Colle. Che dovrebbe essere un punto a favore per il Pdl. Ma ci pensa subito Denis Verdini a trasformare un gol in un autogol. Parlando alla stessa manifestazione di Matteoli a Prato, il coordinatore del Pdl attacca: «Noi sappiamo che» il presidente della Repubblica ha le sue prerogative «ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative». E insiste: «Noi sappiamo che in caso di caduta del governo il Capo dello Stato ha le sue prerogative. Lo sappiamo benissimo che funziona così - spiega Verdini - Ciò che non sappiamo e non vogliamo capire, e che non ci piace per niente, è che il Capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani. E su questo si innesca una polemica perché noi andiamo a toccare le prerogative del Capo dello Stato. Noi sappiamo che le ha ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative». «Ricordate che dal 1994 - conclude il coordinatore del Pdl - da quando c'è questo sistema, nessun Capo dello Stato si è mai sognato di affidare il governo a qualcuno di diverso da chi aveva vinto le elezioni, fosse questi Prodi o Berlusconi. L'incarico lo ha dato a chi le elezioni le ha vinte. Voglio vedere: come fa se cade il governo a dare l'incarico a chi le elezioni le ha perse?». Fini non replica. Legge le agenzie e non commenta. Ma è facile immaginare che le parole di Verdini siano semplicemente pazzesche. O vviamente i finiani non si fanno sfuggire lo scivolone e vanno all'attacco. Su tutti Italo Bocchino: «La dichiarazione di Verdini conferma l'assoluto disprezzo del Pdl per ogni regola, ed è ancor più grave perché è relativa alle prerogative che la Costituzione attribuisce al Capo dello Stato».

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