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Da Fazio e Saviano il solito show anti-Cav

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Fabio Fazio e Roberto Saviano in Vieni via con me

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Si chiude il sipario su Vieni via con me. È finita. Dopo quattro puntate sotto i riflettori Fabio Fazio e Roberto Saviano salutano. Ed è tempo di bilanci, ringraziamenti e celebrazioni. Il primo bilancio lo traccia Fazio, leggendo in apertura di trasmissione l'elenco delle cose imparate in queste settimane. Si viaggia sul confine sottile tra il detto e il non detto. «Ho imparato - esordisce - che la Rai è ancora un pezzo importante di questo Paese, anche se spesso dimentica di esserlo; ho imparato che per molti televisione pubblica vuol dire che siccome è di tutti, allora non si può dire niente; ho imparato che per molti altri televisione di Stato vuol dire televisione dei partiti; ho imparato che aveva ragione il poeta Edoardo Sanguineti quando disse: "le parole sono potenti, non sprecatele"». E ancora: «Ho imparato che qualcuno si definisce pro-vita, come se qualcun altro potessi definirsi pro-morte; ho imparato che ai racconti si può replicare solo con altri racconti. Chi non si è sentito rappresentato da questa trasmissione, può farne un'altra: e noi la guarderemo volentieri». Poi, giusto per non farsi mancare niente si chiude con una punzecchiatura alla Lega: «Ho imparato che tutti sapevano che al Nord c'è la 'ndrangheta, ma se lo erano dimenticati; ho imparato che nessuno sapeva che la spazzatura del Sud arriva anche dal Nord». Il copione è sempre lo stesso. La polemica non nasce dall'attacco frontale (altrimenti si è costretti a concedere il diritto di replica come con il ministro Roberto Maroni). Tutto ruota attorno all'allusione. E così spazio all'elenco delle difficoltà che una mamma napoletana deve affrontare ogni mattina per portare i figli a scuola, spazio all'elenco di una ricercatrice costretta a salire sul tetto per far sentire le proprie ragioni, spazio all'elenco del «peggio e del meglio delle scuola». Nessuno, sia chiaro, nomina il ministro Mariastella Gelmini e la sua riforma, ma il suo "fantasma" aleggia per lo studio. Un po' come quando Dario Fo recita alcuni dei consiglio del Principe di Machiavelli, pronuncia le parole «via i traditori», e il pensiero vola veloce alla querelle tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini (tanto che il premio Nobel ammicca: «Vedo che conoscete il testo originale»). E se il comico Antonio Cornacchione fa satira leggendo le «migliori battute» del Cavaliere («tranne qualcuna, sono tutte vere» assicura), è difficile non pensare che, dietro l'elenco «di frasi di Enzo Biagi sull'Italia», non si nasconda una piccola provocazione nei confronti del premier. Di certo al presidente del Consiglio saranno fischiate le orecchie quando in scena ha fatto la sua comparsa Milena Gabanelli, la conduttrice di Report che ha irritato Berlusconi per i suoi servizio sulle case di Antigua (ma anche per tanti altri servizi sull'esecutivo). Fazio la introduce come «il numero uno della televisione italiana». Per lei una piccola eccezione. Dopo aver letto l'elenco delle «cause che incombono sulla testa di Report» (tra cui anche quella annunciata ma non ancora notifica del presidente del Consiglio) va in scena un vero e proprio "processo di beatificazione". «In 14 anni - spiega la conduttrice - ho perso una sola causa per 30mila euro. Parte dei soldi per queste cause vengono accantonati in un fondo della Rai, per questo sono andata da un dirigente che mi ha detto: per fortuna che ci fai accantonare un po' di soldi perché tu le cause le vinci quindi queste risorse torneranno disponibili. Pensavo di essere un problema, invece ho scoperto di essere un salvadanaio».   Diretto, invece, il procuratore Antimafia Piero Grasso che lancia il suo messaggio: per combattere la criminalità organizzata non bisogna dar seguito all'annunciata riforma della Giustizia, non bisogna limitare le intercettazioni e, soprattutto, non si devono «riformare i magistrati, delegittimarli, intimidirli, renderli inoffensivi, considerarli un cancro da estirpare». Il resto sono due lunghi monologhi di Roberto Saviano uno sul voto di scambio e uno sul terremoto dell'Aquila. Al centro i ragazzi morti nella casa dello studente. «Si definiscono vittime del terremoto - spiega lo scrittore -. Ma forse non è così, c'è qualcosa in più: secondo le perizie della procura quel palazzo era una bomba a orologeria, era fatto male. Dunque non vittime solo del terremoto, ma anche e soprattutto del cemento, della cattiva costruzione». «L'Italia - spiega l'autore di Gomorra - è un Paese di terremoti, eppure ogni volta che accade un terremoto sembra il primo, ogni volta abbiamo la sensazione di essere impreparati».  

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