Il momento nero di Obama

È il momento nero di Obama. Il presidente degli Stati Uniti finora non è stato molto più fortunato del suo predecessore George W. Bush. Se il primo ha avuto l’11 Settembre 2001, l’uragano Katrina e il Grande Crac finanziario del 2008, il secondo finora ha dovuto fronteggiare la marea di petrolio riversata al largo della Florida dalla piattaforma Bp, la più grande fuga di notizie della storia per mano di Wikileaks e una situazione economica fragile al punto da indurre il presidente a congelare gli stipendi pubblici per due anni. Ieri il nostro titolo d’apertura raccontava la «Fine dell’Impero Americano» e qualcuno ha pensato che il direttore de Il Tempo stesse esagerando, enfatizzando, pompando un titolo per il gusto di farlo. No, purtroppo non è così. Tutti i fatti stanno conducendo inesorabilmente verso una conclusione amara: gli Stati Uniti sono una potenza in declino. Detengono ancora il primato globale grazie agli investimenti sulla Difesa, alla fortissima ricerca tecnologica (sempre legata in qualche modo alle applicazioni militari), alla supremazia marittima e aerea indiscussa. Ma tutto questo comincia a non bastare. Prima il crollo del Muro di Berlino nel 1989 e la fine della Guerra Fredda, poi il secondo shock dell’attacco alle Due Torri e ora il primo esempio di guerra asimmetrica digitale su larga scala, stanno mettendo in luce le fragilità del gigante, la fiamma indebolita della Statua della Libertà. Per me e quelli che amano gli Stati Uniti, questa situazione è una grande fonte di preoccupazione. Non ci sono dubbi che il Secolo Americano sia finito da un pezzo, ma ciò che colpisce è l’accelerazione che la tecnologia esponenziale e l’informazione in tempo reale hanno impresso agli eventi. Questa concatenazione impressionante di fatti ha un effetto immediato sulle nostre vite. Il caso Wikileaks ha aggiunto benzina all’incendio già vasto della crisi di governo, ha fatto sentire la sua eco ieri durante il vertice di Berlusconi con il colonnello Gheddafi in Libia e farà altrettanto rumore - a porte chiuse - anche nel corso del vertice con Putin. L’ho scritto tante volte: la nostra politica estera non piace agli americani, è troppo autonoma rispetto alla tradizione dell’asse Roma-Washington. Il problema è che per la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato l’Italia sembra dover restare ferma ai tempi dei due blocchi contrapposti e della spartizione di Yalta. Ma così non è più da tempo. E non basta la politica di difesa e la Nato per tenere un Paese in pugno e guidarne ogni decisione tenendolo di fatto in uno stato di sovranità limitata. Questo non è più possibile. Ma la nostra autonomia non ci slega dagli alleati. Anzi, ci mette di fronte al fatto ineludibile che la crisi americana ci colpisce in pieno. Le difficoltà di Obama, le sue scelte dettate dalla Realpolitik, il suo immaginare il mondo dominato da due grandi potenze (gli Stati Uniti e la Cina) e la presa d’atto che l’Europa è un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro, dovrebbe farci riflettere tutti. La Storia sta mettendo il Vecchio Continente tra i perdenti. E noi italiani siamo in mezzo a questa ondata inarrestabile. Gli americani ancora per qualche anno riusciranno a detenere il primato globale, ma la Cina è avviata a diventare la prima potenza e l’India corre a velocità impressionante. Gli americani puntano a mantenere il primato militare e quello dell’innovazione, ma ci sono segnali che indicano problemi seri su entrambi i fronti. I tagli al bilancio della Nasa sono sotto gli occhi di tutti e l’agenzia spaziale è sempre stata nella storia americana un perno della politica di potenza. L’hi-tech a stelle e strisce regge grazie ai giganti del software, alla straordinaria avventura di Google, Facebook e altri marchi che fanno parte dell’immaginario collettivo, mondi virtuali che sono più che reali. Basta solo questo per continuare ad essere la Superpotenza, il guardiano del mondo? Ho qualche dubbio. Una potenza che non fa figli, con un tasso demografico in declino e una ispanizzazione senza limiti perde la sua identità. Uno Stato mite ma deciso nella guerra che comincia ad aver paura delle perdite nei conflitti e pensa al mito delle "zero perdite" è in chiara difficoltà. L’America ha un debito altissimo, fa politiche monetarie che creano tensioni, congela gli stipendi dei pubblici dipendenti e si fa impallinare da un gruppo di hacker e funzionari infedeli come se fosse l’ultimo dei nerd in un garage della Silicon Valley. Obama, abbiamo un problema.