La scissione premeditata dei finiani
Fa quasi rabbia la fortuna che ha Berlusconi di trovare tra i piedi avversari che si trafiggono da soli. I finiani hanno fornito la prova della premeditazione segue dalla prima della loro rottura con il Cavaliere. Altro che «espulsione» dal Pdl subìta a freddo e ingiustamente dal presidente della Camera il 29 luglio scorso con l'ormai famoso documento dell'ufficio di presidenza del partito: quello che la corte di Fini cita continuamente per giustificare prima la costituzione dei gruppi parlamentari autonomi di Futuro e Libertà, poi l'uscita dal governo e la richiesta perentoria della crisi. Come ha appena rivelato Bocchino, più di due mesi prima di quel 29 luglio, esattamente il 17 maggio, che era un lunedì, i finiani avevano registrato all'ufficio brevetti di Roma «Il vero centrodestra». Che è un marchio concepito per etichettare non certo una produzione di vino, o di birra, o di dolci, o di profumo, o di giocattoli, ma un partito, un movimento, un'alleanza, una campagna elettorale. È stato certamente lesto Bocchino, o chi per lui, a depositarlo ma imprudentemente spavaldo ora a vantarsene, avendo regalato a Berlusconi la pistola fumante da esibire agli elettori contro Fini perché la ricordino bene quando andranno alle urne. Non importa a questo punto con quanto anticipo rispetto alla scadenza ordinaria del 2013. Già prima del 17 maggio, in verità, vi era stato un incontro conviviale al fulmicotone tra Fini e Berlusconi, svoltosi esattamente il 15 aprile. Anziché festeggiare i successi conseguiti dal centrodestra nelle elezioni regionali ed amministrative di qualche settimana prima, ai quali il presidente della Camera aveva dato un ben modesto contributo standosene in disparte per un insolito rispetto del suo ruolo «istituzionale», Fini aveva annunciato al Cavaliere la volontà di costituire gruppi parlamentari autonomi. E aveva reclamato, in subordine, il diritto di organizzare il dissenso interno, cioè una corrente, lamentando -giustamente, mi sembrò allora- che vi fossero poche occasioni e sedi nel partito per discutere e confrontarsi. Seguì finalmente il 22 aprile una riunione della direzione, dove poco mancò che Fini e Berlusconi venissero alle mani cantandosele di santa ragione. Quella salutare, seppur tardiva, riunione di direzione si concluse con la certificazione del carattere fortemente minoritario della corrente finiana. Che si oppose con 12 voti soltanto al documento della maggioranza, approvato con 157 sì. Per ritorsione di stampo non proprio democratico la minoranza annunciò una «guerriglia parlamentare» di cui si avvertirono presto gli effetti. E corse a depositare dopo meno di un mese il suo bravo marchio elettorale all'ufficio brevetti, guadagnandosi -eccome- quella «incompatibilità» poi rinfacciata ufficialmente a Fini con il già ricordato documento dell'ufficio di presidenza del 29 luglio. Queste sono le date e i fatti. Tutto il resto, compreso il giudizio sommario contro un governo al quale i finiani hanno comodamente partecipato sino a pochi giorni fa, è un cumulo di chiacchiere, o di immondizie.