Quello che Saviano non dice
Caro direttore l’ultima puntata della trasmissione «Vieni via con me» e, in particolare, il lungo monologo di Roberto Saviano sull’emergenza rifiuti in Campania possono essere riassunti secondo questo semplice schema: Napoli sta soffocando nell’immondizia perché le discariche sono state saturate dai clan, che le hanno riempite col pattume del Nord. A sostegno di questa tesi, che in realtà pare molto di più un assioma Saviano snocciola dieci inchieste della magistratura che, dal 1993 al 2009, hanno dimostrato la responsabilità del sistema industriale settentrionale nella crisi ambientale che, a mesi alterni, infuria alle nostre latitudini. Inchieste note a chi fa il mio mestiere, di cui i giornali si occupano da tempo e che non dicono nulla di nuovo. Inchieste che in alcuni casi (vedi Cassiopea, iniziata nel 1999 e nel 2010 ancora ferma all'udienza preliminare) sono tuttora in corso, o che - addirittura - sono state ridimensionate nell'impianto accusatorio. La "narrazione" televisiva di Saviano assomiglia molto a ciò che descrive Umberto Eco nel suo bellissimo Il Cimitero di Praga: basta prendere un po' personaggi loschi e misteriosi e farli radunare in un luogo oscuro ed ecco pronto un Complotto utile ad ogni esigenza. Il Complotto descritto da Saviano è un triangolo formato da massoni, imprenditori (possibilmente del Nord) e camorristi. Purtroppo, la storia non è così semplice. E, forse, qualche dato in più aiuterà a completare quella parte di storia che Saviano non ha avuto modo di raccontare lunedì sera. È vero che le grandi aziende del Settentrione hanno spesso utilizzato la Campania come pattumiera, ma forse - per amore della verità e per non lasciare un alibi a quella indecente classe dirigente che ci ha governato negli ultimi venti anni - sarebbe doveroso ricordare che esiste anche un altro circuito ecomafioso che nasce e si sviluppa interamente all'interno dei confini campani. Prove? Eccole: il 21 febbraio del 1996, la polizia scopre che nella zona di Acerra sono state sversate tonnellate di resine e di altri rifiuti tossici provenienti dalle aziende della provincia di Napoli. Il 4 novembre 2005, i carabinieri si accorgono che nelle campagne dell'agro-aversano e del litorale domizio sono stati interrati i rifiuti pericolosi prodotti dagli impianti di depurazione di Capri e della penisola sorrentina, oltre che dai siti di Salerno e Acerra. L'11 maggio 2006, la procura di Benevento indaga su 50mila tonnellate di scorie pericolose, provenienti dalle province di Avellino e Salerno, smaltite nelle campagne e nei fiumi del Sannio. Si replica il 4 luglio dello stesso anno, con un blitz dei carabinieri del Noe in provincia di Caserta, dove 4 aziende nascondevano sotto terra i fanghi dei depuratori di Licola, Orta di Atella, Marcianise e Mercato San Severino. E ancora: l'11 settembre 2007, la magistratura s'imbatte in un traffico di rifiuti di inerti e materiale di risulta e amianto e sostanze bituminose, prodotti nel Napoletano, "occultati" nei cantieri della Tav. In tutte queste operazioni, il Nord non c'entra nulla. Perché non se ne parla? Anche questi signori sono dei delinquenti e anche loro hanno contribuito ad avvelenare il nostro territorio. Anzi, non solo il nostro, perché - sempre spulciando tra le inchieste di questi ultimi dieci anni - emerge chiaro un altro dato, di cui non si è parlato a Vieni via con me: anche dalla Campania sono partite decine, centinaia di camion carichi di rifiuti pericolosi da nascondere nelle pance delle altre regioni, vicine e lontane. Ecco un po' di esempi: in Abruzzo, tra il 1992 e il 1998, vengono denunciate 34 persone per traffico illegale di rifiuti dal Napoletano e dal Casertano; in Puglia, invece, nel blitz del 13 maggio 2002, di indagati, ce ne sono due dozzine. E non è tutto: il 23 marzo 2006, il gup di Milano condanna otto persone per traffico illecito di rifiuti dalla Campania alla Puglia, con pit-stop in Lombardia e in Emilia Romagna. Sempre dal Napoletano, è l'inchiesta del 10 marzo 2007 a dirlo, provengono i rifiuti tossici che sono stati rivenduti e smaltiti illecitamente da tre aziende di Brescia e di Udine. E altre 100mila tonnellate di pattume campano vengono fatte ingoiare alle campagne delle Marche (inchiesta Ragnatela del 17 luglio 2007, 21 indagati a piede libero). Anche queste sono notizie. Altro dettaglio: pure al Nord ci sono discariche abusive di rifiuti tossico-nocivi. Lo dice, nel 1995, il secondo rapporto Legambiente sulle ecomafie: bubboni mefitici vengono individuati in Piemonte (Ciriè, Piossasco e Tortona) e in Lombardia (Dredano e Lacchiarella). Dire che è tutta colpa del Nord in combutta con la camorra non aiuta a capire le dimensioni del fenomeno, perché poi - alla fine - i vari Bassolino e Iervolino (di cui Bertolaso lasciò questa "meritoria" immagine, quando si ritrovò da solo nel 2007 a fronteggiare un'ondata di spazzatura sulla Campania: «Nessuno mi aiutava, Bassolino e la Iervolino si erano sfilati e io avevo solo due interlocutori: il cardinale Sepe e la Procura») sono autorizzati a sostenere di non aver avuto alcuna colpa, in tutta questa schifezza. Certo, non è colpa della camorra se la differenziata non decolla, non è colpa dei clan se il Commissariato per l'emergenza rifiuti ha bruciato due miliardi di euro, senza risolvere nulla. Forse, parlando di rifiuti, più che incolpare Sandokan o i Casalesi (che pure hanno le loro colpe, per carità...) sarebbe più utile fare riferimento alle parcelle d'oro e ai milioni a palate che sono stati distribuiti dal Commissariato per consulenze e incarichi esterni, come il super-stipendio da 413 euro al giorno corrisposto a un ragioniere non iscritto all'Albo. Forse, sarebbe il caso di ricordare che il procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore, il 16 novembre scorso, davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta sulle ecomafie ha detto, a proposito dell'emergenza di queste settimane: «In questo caso non si tratta di camorra, è una inefficienza della gestione del ciclo dei rifiuti che dura ormai da venti anni». Forse, sarebbe il caso di fare qualche nome e, soprattutto, qualche cognome. (1-continua)