Dell'Utri è sereno: "Fantasie dei pentiti"
Marcello Dell'Utri appare sereno. La lettura delle motivazioni della sentenza del processo di Appello che lo ha condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa non sembra averlo turbato più di tanto. Anche perché il senatore del Pdl si aspetta una decisione definitiva diversa («questa è lo sviluppo di una favola»), che non tenga conto delle «fantasie dei pentiti». «Incontri coi mafiosi mai provati, frutto di fantasie di pentiti - dice -. È una favola che si è continuamente sviluppata fino ad arrivare a questa sentenza che per fortuna non è definitiva e io con tutta serenità mi aspetto che ci sia una decisione finale diversa, poi vedremo». E anche su Vittorio Mangano, il boss assunto come stalliere ad Arcore che Dell'Utri definì «un eroe» perché non cedette alle lusinghe di pezzi dello Stato che gli chiedevano di accusare lui e Silvio Berlusconi, il senatore non ha dubbi: «Non sapevo dei suoi legami con Cosa nostra. Quando lo abbiamo assunto mica aveva un distintivo, non sapevamo della sua vita precedente, non abbiamo chiesto informazioni». Ma al di là delle dichiarazioni dell'ideatore di Forza Italia, sono soprattutto le motivazioni della sentenza ad attirare l'attenzione degli addetti ai lavori. Anche perché sembrano smontare alcuni dei «teoremi» su cui si è retta la campagna antiberlusconiana di questi anni. I giudici della Corte d'Appello, infatti, oltre a spiegare che Dell'Utri fu «mediatore» tra i boss di Cosa nostra palermitana e il Cavaliere, stabiliscono anche che il collaboratore Gaspare Spatuzza «ha mentito sapendo di mentire» quindi è un bugiardo e il «giudizio sulla sua attendibilità intrinseca non può che essere negativo». Quindi l'ex picciotto palermitano di corso dei Mille è inattendibile così come Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito, corleonese condannato per mafia. E così è infondata anche la rivelazione di Spatuzza secondo cui «nel 1994 Berlusconi e Dell'Utri avrebbero messo l'Italia "nelle mani" della mafia». Un fatto tutt'altro che irrilevante visto che si tratta di un passaggio decisivo di quella presunta «trattativa» avviata dopo le stragi '92-'93 su cui indagano le Procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze. La corte d'Appello, quindi, assesta un colpo alla tesi di una sorta di dialogo, con ricatto, tra mafia e pezzi di Stato. O perlomeno sembra escludere da questa trattativa la figura di Berlusconi. E forse non è un caso visto che nelle ultime settimane, proprio su questo punto, Giovanni Conso, l'ex ministro della Giustizia dei governo guidati da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi (dal 12 febbraio 1993 al 9 maggio 1994), ha fatto alcune rivelazioni. L'ex Guardasigilli ha infatti ammesso di aver revocato, nel novembre del 1993, il carcere duro per 140 boss mafiosi. Un tentativo, ha spiegato, «per vedere di frenare la minaccia di altre stragi». Insomma, se trattativa c'è stata, tutto ciò è accaduto prima della discesa in campo del Cavaliere. E così il Pdl chiede che Conso venga ascoltato nuovamente dalla commissione Antimafia. «L'imbarazzo dell'ex Guardasigilli del governo Ciampi, Conso, è comprensibile - spiega il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri -. È evidente che la delicatezza del tema merita cautela. Ma a noi sembra soprattutto meriti a questo punto chiarezza. Conso nella sua audizione in commissione Antimafia ha scoperchiato un pentolone. Ha detto una parte della verità, dichiarando di aver revocato il carcere duro a 140 boss nel 1993, ma ha dimenticato di dire che nello stesso anno i provvedimenti di questo tipo furono due. A cosa si deve questa amnesia? Chiediamo un'operazione verità. Aspettiamo che la commissione Antimafia ascolti di nuovo l'ex ministro Conso ed insieme a lui l'allora capo del governo, Ciampi. Sperando che la memoria riaffiori tutta e con essa tutta la verità».