UdcI centristi stanno con la testa a sinistra, la pancia a destra e attendono le mosse del Cav
Avolte, però, sia i “se” che i “ma” possono aiutare. L'intervento con il quale Casini ha concluso i lavori dell'assemblea nazionale dell'Udc non è stato perentorio e, da questo punto di vista, difficilmente sarebbe potuto esserlo. I centristi vivono sulla loro pelle tutta la pressione della loro posizione mediana e di equilibrio. Il partito stesso ha la testa che guarda sinistra ma la pancia che pulsa ancora verso il centrodestra. Una posizione, quindi, non facile quella dell'Udc. Casini e Cesa, anche dopo i vistosi tentennamenti di Fini, hanno voluto rioccupare lo spazio centrale nel dibattito politico. L'apertura a Berlusconi ha sorpreso solo quanti seguono con superficialità le mosse di Pier e dei suoi. L'ex presidente della Camera infatti non ha mai posto veti sul leader del Pdl: ha sempre solo ripetuto di non essere interessato ad aggiungersi a questo governo per come è adesso. Nessuna novità, quindi? Nient'affatto. Il profilo di coerenza che guida Casini non si traduce con l'immobilismo. Al contrario, il capo dei centristi sa che ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria. Berlusconi aveva mosso bloccando le ipotesi di governi “terzi” e Fini aveva mosso sparando un colpo a salve (l'incompreso video-messaggio). Pier ha mosso rilanciando. Aprendo all'idea di ritrovarsi con il centrodestra attorno ad un tavolo in cui i “se” e i “ma” non sono certo dettagli trascurabili. Questa posizione dell'Udc ha suscitato reazioni diverse nella maggioranza. La Lega continua a mostrarsi diffidente ma non risulta abbia rinnovato veti insormontabili e i più nel Pdl non nascondono l'entusiasmo rispetto alla possibilità che i post-dc tornino in quella che considerano la loro casa. A questo punto tocca nuovamente a Berlusconi. All'appuntamento del 14 dicembre manca ancora un'eternità, dal punto di vista politico. In realtà, il calendario non offre infinite opportunità. Il Cavaliere si presenta oggi nuovamente forte e pronto alla sfida in Parlamento. Le urne però sono una minaccia anche per lui, nonostante tutto. Proseguire la legislatura come fosse un Prodi qualunque altrettanto non è nelle sue corde e soprattutto non sarebbe sostenibile per il Paese. Delle due l'una, quindi. O Berlusconi chiede al Capo dello Stato di sciogliere le Camere indipendentemente dall'esito del voto di fiducia (e cioè anche nel caso avesse una risicata maggioranza sia alla Camera che al Senato) oppure puntella significativamente la sua maggioranza. In questo caso ha quattro alternative: potrebbe attingere a qualche voltagabbana (basterebbe?), ricucire con Fini (ma è ancora possibile?), aprire ai Radicali (come lo spiega in Santa Sede?) oppure venire a patti – non scontati e non semplici, ce ne rendiamo conto – con Pier Ferdinando Casini e la sua Udc. Fino al 14 l'esibizione dei muscoli funziona. Dopo servirà la politica. A quel punto, senza se e senza ma.