segue dalla prima di FABRIZIO DELL'OREFICE (...) alla Camera un gruppo della responsabilità nazionale, con venti membri, in parte fuoriusciti del Pdl e in parte provenienti dall'opposizione, che gli avrebbero dovuto garantire la maggioranza a

Berlusconicomunque va avanti. Innanzitutto lavora sul Senato, dove sulla carta ha una maggioranza seppur piuttosto risicata. Ha incontrato Piergiorgio Massidda, senatore sardo del Pdl che sembrava in procinto di passare con Futuro e Libertà. Lo ha visto e lo rivedrà in settimana. Ha visto anche alcuni esponenti del gruppo dei finiani a Palazzo Madama. Si parla di due o tre senatori che gli hanno assicurato che per loro è molto difficile votare per la sfiducia al governo. Di sicuro ha mantenuto buoni rapporti personali sia con Mario Baldassarri che con Giuseppe Valditara. Come pure è certo che sinora a Palazzo Madama Fli non sta lavorando per presentare una mozione di sfiducia come invece verrà ufficializzata anche a Montecitorio. Ci sono poi i finiani dubbiosi sulla linea dura finora sostenuta alla Camera. Sulla scrivania di Berlusconi ci sono i report dei voti sulle mozioni sui trattati Italia-Libia e sono stati cerchiati i nomi dei finiani che sono andati in dissenso con il capogruppo Italo Bocchino alla terza votazione di martedì scorso. Si stava votando la mozione dell'Italia dei Valori, Fli ha optato per l'astensione e il Pdl per il no. Con il partito del premier sono restati l'avvocato Giuseppe Consolo, l'ex capo della segreteria di Fini Donato Lamorte, i leader di Area nazionale Roberto Menia e Silvano Moffa e, a sorpresa, anche Gianfranco Paglia, medaglia d'oro al valore militare. Non hanno partecipato ad alcuna votazione quel giorno anche Andrea Ronchi, che era in missione, e Giulia Cosenza, sua compagna. Ma neppure Giuseppe Angeli, Francesco Divella e Gianpiero Catone. In tutto sono nove voti, quanti ne mancano al Cav per avere una maggioranza autonoma. Dati, numeri, cifre e considerazioni che fanno ben sperare il premier. Che, intervenendo telefonicamente a una convention milanese del Pdl, annuncia: «Andremo avanti a governare con una fiducia che ci verrà data al Senato e che penso ci verrà data anche alla Camera. E se ci dovesse essere una fiducia che non c'è alla Camera benissimo, si andrà a votare per la Camera stessa dei deputati e vedremo che cosa decideranno gli italiani». Dunque, chiederà lo scioglimento di una sola assemblea. Poi attacca: «Ci sono dei professionisti della politica che possono aspirare a diventare presidente del Consiglio, o della Repubblica, solo grazie a compromessi di palazzo, ma questa non è democrazia: è solo partitocrazia». Se la prende con la Rai: «È una cosa indegna avere una tv pubblica di questo tipo». E una stoccata è anche per i giornali: «Non leggeteli, descrivono una situazione che non c'è e che è indipendente dagli elettori, descrivono posizioni politiche partitocratiche. La verità è che gli elettori esistono e che al 60% sono con me». Per il resto si media anche se gli spazi sono minimi, forse inesistenti. Umberto Bossi spiega: «Secondo me Berlusconi vuole andare al voto, perciò gioca al ribasso. Io giocherei invece al rialzo». Poi rivela: «A me Fini ha detto che non gli dà fastidio vedere Berlusconi fare il presidente del Consiglio, io sto alle sue parole». Come se volesse lasciare intendere che c'è la possibilità per un reincarico a Silvio. E i finiani? Bocchino è secco: «L'ipotesi del solo scioglimento della Camera in caso di sfiducia è un escamotage che ha il solo obiettivo di tranquillizzare quei senatori pronti a sostenere un percorso di responsabilità che eviti al Paese l'ennesima campagna elettorale». E chiosa: «Restiamo convinti che sarebbe opportuna una scelta nell'interesse dell'Italia, con le dimissioni del governo e l'avvio di un percorso virtuoso che richiami tutte le forze politiche alla responsabilità verso i cittadini».