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Vendola si prende il Pd di Bersani

Il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola a bordo della nave ammiraglia di Greenpeace Rainbow Warrior

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Colonizzati dal partito di Vendola per la seconda volta in una manciata di mesi. Dopo la sconfitta dell'uomo di D'Alema alle primarie per scegliere il candidato Governatore della Puglia  il Pd si è arreso anche a Milano a Giuliano Pisapia, l'esponente di Sinistra e Libertà messo in campo nella sfida per decidere chi correrà l'anno prossimo contro il sindaco uscente, e ricandidato, Letizia Moratti. Una sconfitta drammatica, cocente per Pier Luigi Bersani. Che mette in discussione tutti i pilastri del Pd: la scelta delle primarie, la scelta dei candidati, il rapporto con l'area moderata. E quest'ultima – umiliata e offesa da scelte che l'hanno sempre più relegata ai margini del partito – è pronta ad andare alla resa dei conti finale con il segretario. Perché la vittoria di un esponente del partito di Vendola mette in enormi difficoltà proprio quei Democratici che affondano la loro storia nel Ppi e nella Margherita. Giuseppe Fioroni, che insieme a Walter Veltroni ha dato vita alla corrente Modem, ha già aperto il processo a Bersani: «Il risultato di Milano impone una riflessione profonda e a soluzioni conseguenti per tutti noi. Ma soprattutto a chi ha responsabilità maggiori del Pd». «La causa di tutto questo – conclude – è il lento e progressivo scivolamento dell'immagine del Pd come partito di sinistra e conservatore». Parole di fuoco, in sintonia con quelle che i deputati Simonetta Rubinato, Enrico Gasbarra e Rodolfo Viola affidano a un comunicato: «Fermiamo lo zig zag degli ultimi mesi in cui i nostri esponenti una volta hanno indicato l'alleanza con il terzo Polo, Fini compreso, e un'altra hanno allineato il partito su Vendola e Di Pietro. Il risultato di questa strategia rischia di allontanare da noi l'elettorato moderato come si evince dal calo elettorale e dei partecipanti alle primarie». E la presidente dei Democratici, Rosy Bindi è ancora più drastica: «Avevo consigliato il mio partito a non schierarsi nelle primarie di Milano». La sconfitta ha già aperto una falla del Pd lombardo: ieri mattina il segretario provinciale Roberto Cornelli, il coordinatore cittadino Francesco La Forgia e il capogruppo in consiglio comunale Pierfrancesco Majorino hanno rimesso il mandato. E in settimana ci sarà una riunione del partito. Sotto accusa non c'è solo la decisione di candidare Stefano Boeri (secondo con il 40,1%) ma anche i numeri della partecipazione: il Pd aveva sbandierato la possibilità di avere 100 mila votanti, la partecipazione si è fermata poco sopra quota 60 mila. E dalle parti degli ex Popolari si dà una spiegazione a tutto questo: «Se si sposta l'asse del partito troppo a sinistra, a votare ci vanno solo gli elettori più estremisti e quelli moderati restano a casa. Con il risultato che invece di guidare l'estrema sinistra ci ritroviamo guidati da loro. Siamo diventati un partito eternamente a rimorchio, di Vendola o di Fini». Per il momento Bersani prova a rimettere a posto i cocci di un partito frantumato. Offrendo una sponda ai moderati: «Quella di Milano è una battaglia che il centrosinistra può vincere. Il problema principale da affrontare adesso è come offrire alla città una proposta che si rivolga ad una opinione più vasta di quella consolidata del centrosinistra. Sono certo che su questo si lavorerà con aperture e spirito unitario attorno al candidato Giuliano Pisapia». Ma a complicargli la vita ci si è messo anche Gabriele Albertini, l'ex sindaco di Milano che potrebbe correre con il Terzo Polo. Andando a rubare altri voti moderati al Pd.

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