E nel giorno delle polemiche arriva l'arresto di Iovine
Nelgiorno in cui lo scontro tra il ministro dell'Interno Roberto Maroni e Roberto Saviano si fa più acceso, con lo scrittore che si lancia in un pericoloso parallelismo tra il titolare del Viminale e il boss Francesco «Sandokan» Schiavone, lo Stato sferra un altro colpo alla malavita organizzata. Dopo 14 anni, infatti, finisce la latitanza di Antonio Iovine, boss del clan dei Casalesi. Finisce a Casal di Principe, roccaforte della cosca più potente della Campania, dove Iovine, come tutti i pezzi da novanta di mafia e camorra, godeva di amicizie e connivenze ed era protetto da una rete impenetrabile di omertà. A catturarlo gli agenti della squadra mobile di Napoli, diretti da Vittorio Pisani, che erano da tempo sulle sue tracce. Il boss si nascondeva in un villino di via Cavour, dove veniva ospitato dal proprietario, Marco Borrata, 43 anni, muratore incensurato, arrestato con l'accusa di favoreggiamento. Era Borrata, insieme con la moglie e una figlia, a prendersi cura del latitante, e di questo gli investigatori della squadra mobile ne erano ormai certi tanto da «monitorare» tutta una serie di abitazioni e nascondigli riconducibili alla famiglia. L'operazione è entrata nella fase decisiva dopo l'intercettazione di una conversazione telefonica risalente a poche ore prima della cattura in cui uno dei familiari avanzava la richiesta di un panettone, circostanza che avrebbe convinto i poliziotti della presenza in casa del boss. Alla vista degli agenti Iovine non ha opposto resistenza. In casa non c'erano armi e, al termine del sopralluogo, è stata scoperto un piccolo bunker che tuttavia non sarebbe mai stato utilizzato. Resta da capire come sia stato possibile che un esponente del calibro di Iovine sia sfuggito alla cattura per 14 anni nonostante fosse braccato da polizia e carabinieri. La risposta, senza giri di parole, la dà il procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore: «Vuol dire che la gente del posto gli ha dato una mano. Forse per solidarietà, forse per altri motivi ma non vi è alcun motivo che si può giustificare». Nativo di San Cipriano d'Aversa Iovine, soprannominato 'o Ninno, era nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia. Deve scontare la pena dell'ergastolo inflitta al maxiprocesso Spartacus. Componente con Michele Zagaria (l'altro superlatitante del clan) della diarchia che dalla latitanza ha diretto gli affari criminali del sodalizio, Iovine è considerato il "boss manager", la mente affaristica impegnata, tra le altre attività, anche nel business della spazzatura. A lui viene attribuita la capacità del clan di espandere i propri interessi ben oltre i confini campani. La sua ascesa al vertice dell'organizzazione è avvenuta in seguito all'arresto di Francesco Schiavone, detto Sandokan, e allo scompaginamento del gruppo comandato da Francesco Bidognetti, soprannominato Cicciotto 'e Mezzanotte. Il ministro dell'Interno Maroni (che oggi sarà a Napoli per complimentarmi personalmente con il Prefetto ed il Questore, ma «soprattutto con la squadra che ha provveduto alla cattura») ha commentato: «È una bellissima giornata». E ha contrapposto «l'antimafia dei fatti» a quella delle «polemiche». «Io mi occupo di quella dei fatti e questo è un avvenimento eccellente», ha affermato. «Aspettavo questo giorno da quattordici anni - ha commentato Saviano -. L'arresto di Antonio Iovine 'o Ninno, rappresenta un passo fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata». Ma alla gioia per l'arresto di Iovine fa da contraltare l'allarme lanciato dalla Direzione investigativa antimafia che, nella relazione inviata al Parlamento e relativa ai primi sei mesi del 2010, punta i riflettori sulla «costante e progressiva» evoluzione delle cosche calabresi nelle regioni del nord Italia (soprattutto in Lombardia) e invita a vigilare sui lavori per l'Expo 2015 a rischio infiltrazioni.