E adesso Fini ha paura "Premier anche Berlusconi"
È ora di pranzo, ufficio di Fini a Montecitorio. Il presidente della Camera ha voluto attorno a sé i senatori del gruppo di Fli. Si siedono a tavola e c'è chi conta. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove. Nove? Come nove? Non dovremmo essere dieci? Il gruppo di Fli è composto da dieci senatori. Chi manca? Non c'è Franco Pontone. Raggiunto telefonicamente in serata, l'ex tesoriere di An glissa: «Non sono potuto andare». Fini pare sia stato più morbido, le risulta? «Lo spero ma non lo so. Non ho parlato con nessuno». Fine delle comunicazioni. Dunque, all'assalto del Senato i finiani partono con un voto in meno. E non è poco di questi tempi. Maria Ida Germontani, vicecapogruppo, è netta: «Ma altri voti possono aggiungersi. Nel Pdl c'è molto malcontento». Malcontento? Di chi? Di Pisanu? «Guardi che il Pdl non ha solo senatori sardi». Quel che è certo è che Fini, nel pranzo con i suoi, si mostra più aperto a tutte le possibilità. E soprattutto più orientato a non accollarsi le ragioni della rottura bensì a rigettare la palla nel campo avversario. Prepara dunque un'apertura a un Berlusconi bis, a un nuovo reincarico all'attuale premier. Ipotesi che a Perugia non aveva annunciato. «Ma non aveva neppure escluso - corregge la Germontani -. Restiamo a quello che ha detto: dimissioni di Berlusconi, nuovo governo e nuovo programma. Chi lo guiderà, si vedrà». I finiani intanto rimangono ad aspettare. Riempire gli scatoloni dopo aver rassegnato le proprie dimissioni nel bel mezzo di una legislatura, non è facile per nessuno. Il «day after» il rimpianto è sempre dietro l'angolo. Ma non per loro, giurano. Si dicono sicuri della decisione presa, loro, pronti a dedicarsi a tempo pieno a Futuro e Libertà. Eppure c'è qualcosa che non torna. Nessuna nota esplicita, nessuna retromarcia ufficiale, è chiaro. Ma tra le righe un certo timore - quello sì - è già rintracciabile. No, non è solo il rientro tra i ranghi del Pdl di Giuseppe Angeli, deputato eletto in America Latina che dopo la rottura tra Berlusconi e Fini aveva seguito - «per amicizia» - il presidente della Camera. Tra i corridoi del Palazzo si ricomincia a parlare di calciomercato, è vero. Ma c'è dell'altro. Daniela Santanché ne parla. Ignazio La Russa, a mezza bocca, conferma. Telefonate? Sì, ma non sarebbero i Berluscones di ferro a effettuarle. Loro, al massimo, si limitano a rispondere. Dall'altro capo del telefono, i finiani. Nessun altro «ritorno a casa», almeno per ora. Solo alcune chiare rassicurazioni da parte di qualche «futurista» inquieto ai colonnelli della maggioranza. Non usciamo da Fli, ma non voteremo la sfiducia: questo il messaggio. «Io - spiega proprio La Russa - non mi metto certo a contendermi questo o quell'eletto e neanche farò telefonate. Posso dire però che di telefonate ne sto ricevendo: almeno tre, oggi, e tra queste due sono di dirigenti di spicco di Fli, che mi dicono che non voteranno la sfiducia al governo». È tutto un bluff? Una strategia? Bè, sì, potrebbe essere. Solo che, con i numeri del Parlamento in continua evoluzione (Berlusconi potrebbe avere la maggioranza anche senza Fli) e i sondaggi che danno il Cav e la Lega comunque vincenti (mentre il «fenomeno Fini» non sarebbe stato ben compreso dagli italiani) i «futuristi» sembrano aver deciso di correre ai ripari. Ecco allora che da una dichiarazione di Benedetto Della Vedova - non certo un «falco», ma nemmeno una «colomba» di Fli - sbuca un segnale: «Se si andasse a un nuovo governo, con una base parlamentare più ampia, il premier potrebbe perfino essere Berlusconi, se capisse che il problema è politico, non legato ai logoramenti o allo stillicidio», spiega. Anche Adolfo Urso, dopo le lacrime emozionate di Perugia e fresco di dimissioni, non concede lo strappo: «Porte chiuse al Pdl? No, non è mai troppo tardi. Abbiamo chiesto un colpo d'ala a Berlusconi. Che si allarghi il nuovo esecutivo all'Udc», spiega. Come chi, con lo scatolone sotto al braccio, finge di dimenticare qualcosa. Sperando di ritornare.