Il partigiano Bocca impallina Saviano
E alla fine il partigiano Giorgio è sbottato. Lui che ha fatto la Resistenza, su pei monti piemontesi c’è andato senza scorta e un colpo di schioppo nella schiena l’ha rischiato davvero. Lui che dalle pagine patinate dell’Espresso, col cipiglio del duro e puro, assesta con la Lettera 22 stilettate a chi non gli garba. Lui che di libri ne ha scritti, ma di soldi non ne ha mica guadagnati come ha fatto quel Roberto in quattro e quattr'otto, e con la Mondadori, mica con Feltrinelli. Roberto, chi? Roberto Saviano. Quello che un giorno sì e l'altro pure scrive in prima pagina su la Repubblica, il quotidiano che il partigiano Bocca tenne a battesimo. E che è una costola dell'Espresso, la rivista dove Giorgio scodella ogni settimana puntuti editoriali. A quel paese tutti, i direttori dioscuri Manfellotto Bruno e Mauro Ezio. E pure i sodali di sempre, Scalfari Eugenio e De Benedetti Carlo. «Saviano? È uno che recita. L'autore di "Gomorra" non è né di destra né di sinistra, ma solo molto savianesco». Ecco, Giorgio l'ha detto, il macigno dallo scarpone resistenziale se l'è tolto. E mica in un pourparler con i colleghi, mica al cellulare, ché magari lo intercettavano, ma sarebbe stato in privato. No, lo smascheramento dell'énfant prodige della narrativa d'inchiesta è partito coram populo. Dai microfoni di RadioRai 2, trasmissione «Un giorno da pecora». Incalzano Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro. E Bocca, a conferma del suo stile senza briglie: «Saviano è uno che recita, è un bravo attore, un bravo scrittore. Ma a me gli artisti non piacciono tanto. Sono un personaggio d'altri tempi, mi piacciono le cose concrete». Quindi anche Gomorra è una recita, affondano il coltello nella piaga gli intervistatori. «È una mafia esagerata, un po' letteraria. Troppo divertente per essere vera. Una mafia colorata». Adesso, ve l'immaginate Roberto il tenebroso? Steso dal gancio più infido. Smascherato in quella che spaccia come la sua maggior virtù: raccontare la verità, rifilare all'Italia e al mondo reportage ineccepibili. Più fratelli coltelli di così dentro il giornale-partito non si riesce. E più indisciplinato di così l'ottantenne Bocca - che cominciò fascista e poi finì sull'altra sponda - non può essere. Pane al pane e vino al vino. Sulla scia del «revisionista» Giampaolo Pansa, con il quale però il cuneese arcigno ha litigato proprio per via di quel «Sangue dei vinti» che sulla Resistenza, a suo autorevole parere, non la conta giusta. Viene da chiedersi: allora chi è che scrive davvero la verità? Il partigiano Giorgio o il divo Roberto? E tra il patinato l'Espresso e l'armato la Repubblica chi vince in trasparenza? Intanto il divo col girocollo scuro come la faccia mai sbarbata ha beccato la ramanzina dal padre fondatore. Ma un po' se l'è meritata l'uomo che discetta di camorra e accusa i giornali di Caserta e dintorni di essere bugiardi e fiancheggiatori della mafia. Gli piace troppo stare sotto i riflettori. Muore Saramago e Saviano ricorda che era suo amico e gli ha insegnato a scrivere. Cantano gli U2 e Saviano scambia baci e abbracci con Bono. Santoro e Fabio Fazio hanno uno sgabello vuoto e Saviano ci si arrampica subito sopra. Roberto chi? Il «nonno» Bocca alla fine non ne ha potuto più. Scappellotto.