Il leader acchiappavoti
I presidenti delle Camere sono saliti sul Colle. Quello di Montecitorio è anche il leader del partito che ha aperto la crisi, ma questo ormai è un aspetto marginale della faccenda. Napolitano ha blindato un accordo sulla data della fiducia e sul dove comincia la rumba, il Senato. Berlusconi incassa una prima parte del bottino: farà le sue comunicazioni a Palazzo Madama e là avrà la fiducia e potrà accumulare il suo tesoretto. Si sta realizzando quanto avevo anticipato: l'orologio costituzionale riporta in primo piano la centralità del capo del governo. Le dimissioni dei ministri finiani sono un errore e di ora in ora questo emerge chiaramente e l'insieme di regole che scandisce i tempi della crisi gioca a favore di Berlusconi. La ritirata di Fli dal governo avrà effetti pesanti sul morale della truppa finiana. Mentre il capo futurista, Fini, resta al suo posto, loro hanno dovuto lasciare i rispettivi ministeri e guardare alla poltroncina con la lacrimuccia negli occhi. Tra qualche giorno la sbornia da sovraesposizione mediatica passerà e i finiani scopriranno di essere ancora lisciati da giornali e programmi tv della sinistra, ma sempre meno influenti sul sistema di potere e sull'opinione pubblica che da sedici lunghi anni vota centrodestra. Si stanno isolando. Cominciano ad esserne coscienti, al punto che in pubblico Benedetto Della Vedova ieri ha lanciato l'idea di un Berlusconi bis, un governo con un Silvio reloaded, ricaricato e pronto per chiudere la legislatura, mentre Fini, in privato, avrebbe lasciato la porta aperta a questa opzione. Segno che i finiani hanno sentito i rumors sui sondaggi (che Il Tempo oggi pubblica) e fatto due conti sulle proiezioni dei seggi in Parlamento: il Cav è ancora quello che ha i voti, l'uomo che può vincere le elezioni anticipate. Il nocciolo di tutta la faccenda è riassunto in una parola: berlusconismo. I partiti che lavorano al sottosopra del governo non hanno realizzato che si tratta di un fenomeno pre-esistente a Berlusconi, un carattere della nazione che Silvio interpreta al meglio. In assenza di un'alternativa, quel blocco sociale continuerà a votare il Cavaliere. E non perché Berlusconi sia infallibile, non perché tutta la sua politica sia condivisibile, non perché non abbia commesso anche gravi errori, ma semplicemente perché rappresenta l'offerta politica (insieme alla Lega) più affidabile, quella che assicura la stabilità. Viviamo un momento di grandi cambiamenti e generale insicurezza. L'Europa è alle prese con una crisi culturale ciclopica, i Paesi che la compongono hanno problemi di bilancio serissimi, l'Irlanda è alla canna del gas, il Portogallo attaccato a un cuore artificiale e la Grecia è in vita solo perché nessuno ha avuto il coraggio di staccare la spina. L'Italia non è finita nel caos proprio grazie alla politica di questo governo, non di astratte entità e gli italiani questo lo riconoscono e apprezzano più di quanto immaginino i comizianti di partiti, i guitti della Rai e qualche intellettuale che passa il suo tempo a criticare i consumi dopo aver grassamente consumato. Con questo non voglio dire che Berlusconi è insostituibile (nessuno lo è), solo che i tempi della successione e del regime change non sono maturi. Nel supermarket della politica ci sono solo prodotti transgenici e qualche avventuriero. È davvero un'offerta povera per un Paese che ha votato per mezzo secolo la Democrazia cristiana e aveva tra le sue opzioni quella del più grande partito comunista dell'Occidente. Berlusconi è ancora il prodotto più affidabile. Gli italiani ne conoscono pregi e difetti. E pensano che i primi siano ancora di gran lunga più importanti dei secondi. Fini e i suoi fedelissimi hanno sottovalutato questo carattere profondo, questo dna italiano (che alla sinistra, ovviamente, fa orrore) ed è un grande paradosso che questo svarione di analisi politica giunga proprio da coloro che si presentano come la «nuova destra», quelli che dicono di aver superato l'idea classica di nazione e ne abbiano da proporre una migliore. Se non fosse che i protagonisti sono intellettualmente piccini, potremmo quasi dire che è una disputa tra gli «antichi» e i «moderni». Una battaglia dove la tradizione sembra avere un peso enorme e nessuno si rende conto che la «rupture», la rottura, in Italia l'ha già fatta Berlusconi nel 1994, ben prima dell'epigono Sarkozy in Francia e in un contesto drammatico (Tangentopoli) tale da creare una sorta di imprinting in un'intera generazione. Che osserva. Si fa un'opinone. E vota. Cosa succede ora? si chiedono i lettori de Il Tempo. Cari amici, stiamo entrando nella «fase dell'elastico». Cosa significa? Lo scorrere della sabbia nella clessidra, il countdown che sembrava velocissimo e inesorabile, improvvisamente rallenta e gli effetti sono cinematografici, una ripresa in slow motion, un'azione al rallentatore che consegna a Berlusconi la possibilità di giocare un paio di mani di poker decisive. Il presidente del Consiglio ora ha tutto il tempo per mettere a punto la sua strategia di talk and build, parlare e costruire. Parlare significa spiegare agli italiani quali sono le origini della crisi di governo, a chi è intestato il patatrac e quali saranno le mosse successive del governo. Costruire, significa mettere a punto una serie di azioni di governo e narrazioni sul futuro in grado di convincere gli elettori che da una parte c'è la stabilità e chi fa, dall'altra l'avventura nel vuoto e un vociare che sa di spesa pubblica galoppante e partitocrazia senza partiti degni di nota. La crisi ora è entrata in una fase in cui i giamburrasca di Futuro e Libertà possono strillare, ma non dettare più i tempi. Ora c'è un calendario preciso e un appuntamento di Berlusconi con il Senato che sarà la chiave di volta di tutto. Resta solo una vera incognita: la data del 14 dicembre, giorno in cui la Corte Costituzionale dovrà decidere sul legittimo impedimento, cioè sullo «scudo» che per ora protegge il Cav dall'azione della magistratura di Milano. Sarebbe saggio da parte della Consulta non intervenire in un momento così delicato per la vita della nazione, ma non sembrano esserci i presupposti per una leale collaborazione tra i poteri dello Stato. È l'ultima carta rimasta a disposizione dei nemici del Cav: la rivoluzione giudiziaria. Ma non siamo nel 1992, l'Italia è cambiata e non saranno le toghe a spazzare via Berlusconi. Si rassegnino i ribaltonisti, serve il voto.