Silvio: "Niente crisi pilotata. Si va al voto"

«Fini non lo capisce nessuno. Se facesse il governo tecnico ancora meno, crollerebbe, sparirebbero». Silvio Berlusconi ritrova un po’ il sorriso quando, come tutti i lunedì, gli arrivano i sondaggi. Certo, c'è qualche notizia non proprio esaltante, come il suo calo di fiducia. Calo peraltro prevedibile tutte le volte che Berlusconi appare come impantanato nelle paludi della politica. Mentre risale quando si mostra come l'uomo del fare. Ma sono i dati che riguardano il leader di Futuro e Libertà che fanno ben sperare il Cavaliere. «Ecco, la metà degli italiani ne dà un giudizio negativo, circa il 48% - ha ricordato a più di un interlocutore che lo ha sentito nel pomeriggio di ieri -. Poi una bella fetta resta neutra e appena una minoranza ha fiducia in lui». Il Cavaliere ha voluto anche sondare il terreno degli umori degli italiani su che cosa preferirebbero nel caso di crisi. E a uno dei coordinatori del Pdl ha raccontato: «Il 40% vuole il voto subito, l'esecutivo tecnico piacerebbe appena al 16% degli italiani. Manco a sinistra lo vogliono. Se lo facessero, Fini, Casini e Rutelli si impiccherebbero. Persino i loro elettori non apprezzerebbero». Berlusconi ormai è sempre più sintonizzato sulle elezioni. Pensa a quelle e ha spiegato ai suoi come oltre metà degli italiani sono convinti che in caso di voto «vincerebbe di nuovo l'alleanza Pdl e Lega». Questo non significa che il Cavaliere abbia smesso di telefonare, contattare i perplessi, parlare con gli indecisi. In altre parole: cercarsi i voti in Parlamento, e in particolare alla Camera. Ha cercato un po' di colombe finiane e ha avuto una lunga chiacchierata con Giuseppe Consolo, avvocato di grido, che la settimana scorsa si era opposto alla linea dura del gruppo sulle mozioni sul trattato Italia-Libia. Poi, Consolo, tutto trafelato è arrivato a Montecitorio per riferire a Fini: «Sto cercando di mediare, di convincere tutti ad accettare un Berlusconi bis». Prima di lui era andato da Fini un'altro mediatore, Roberto Menia, che scappa via dalla Camera inforcando un'uscita secondaria. Sul selciato di Montecitorio confessa: «Sì, è vero. So che Berlusconi mi ha cercato. Non ci ho parlato, vediamo più tardi. A me sembra che Fini sia aperto a qualunque soluzione ma l'unico punto fisso, l'unico obiettivo vero è far uscire di scena Berlusconi». L'ormai ex sottosegretario all'Ambiente, pure lui, argomenta in maniera quasi truce: «Senta, qui state ancora a parlare di mozioni, ordini del giorno. Andare prima alla Camera e poi al Senato... Mi sembrano tutte azioni dilatorie. Finirà che, se non succede nulla fino a dicembre, il 14 la Consulta decide e boccia il legittimo impedimento, ripartiranno i processi per Berlusconi e si arriverà a condanna». Insomma, o per via politica o per via giudiziaria i finiani sono convinti che il Cavaliere è prossimo all'uscita di scena. E sono anche certi che larga parte degli italiani non aspetti altro. In questo quadro, Berlusconi sta orientando tutte le sue azioni alla finalità elettorale. Nel vertice di Arcore, Bossi non è riuscito a convincere il premier a varare una crisi pilotata per poi ripresentarsi con un bis. Niente, il Cav vuole andare in Parlamento dopo la Finanziaria e vedere se viene sfiduciato. Se sarà, urlerà: elezioni! Oggi tornerà a Roma a riprenderà l'iniziativa. Sta facendo fissare una serie di appuntamenti per interviste televisive, questa settimana lo vedremo spesso. E domani salirà al Colle. In agenda c'è la consegna dei cavalierati del lavoro assegnati il 2 giugno. Il presidente del Consiglio ci va solo qualche anno. Stavolta non può mancare.