Silvio ce la fa o no?
PERCHE' DEVE LASCIARE Caro Direttore, la tua analisi sul Biscottone bruciato e sul Berlusconi redivivo non fa una grinza. L'uomo - Mister B., cambiamogli etichetta, siamo a fine corsa - ha i numeri ed è tosto, si sa, un leone, un combattente. Faccio parte della schiera dei grintosi, dunque chi mena fendenti per difendersi e uscire dall'angolo, ha tutta la mia ammirazione. Ergo, se inseriamo i dati nel programmatore, esce fuori: Mister B. alla riscossa. La mitopoiesi postmoderna del Cavaliere funziona ancora e sottovalutarlo è costato sempre caro. D'accordo, va bene così? Bene, so di chi si sta parlando. Il vecchio Citizen Berlusconi, per dirla con un intelligente nemico del Nostro, Alexander Stille, fa ancora la sua parte. Insomma, è ancora il migliore. I «fatti di mutanda», come li hai definiti tu a Ballarò, non spostano un'oncia di consensi, l'ha constatato anche Mentana, con un sondaggio coi fiocchi, e certo non stiamo parlando di un fan del Cavaliere. Perfetto. Allora, tutto a posto? Caso chiuso? No, stavolta la casistica non chiude il caso. C'è un «ma», non banale. Mi spiego con una nuova formula: lo spostamento di asse della «movida» berlusconiana, dal «generativo» al «residuale». Insisto su questo concetto - il «residuale» - sia perché su Mister B. di categorie analitiche cogenti non ce ne sono - è tutta narrazione per cricche di nemici col sangue agli occhi, o per lustrascarpe cresciuti a pane e «ola» da stadio, effetti speculari del genocidio del pensiero politico dopo il trauma del golpe bianco chiamato barbaramente «Tangentopoli» - sia perché la realtà, nella sua cruda energia rivelatrice di assiomatiche fallaci e crisi autentiche, racconta questa storia: Citizen Berlusconi è, ad un tempo, troppo, e troppo poco, per l'Italia di oggi. Se la partita politica non fosse inchiodata al palo delle tifoserie e fosse, invece, più decentemente vicina alla realtà del popolo che lavora e tiene ritto questo Paese meraviglioso, non ci sarebbe bisogno di alcune migliaia di battute per declinare la questione. Ma così non è, allora... si fatica a cogliere un fatto «paradossale», come anche tu osservi: «Berlusconi rischia di non vincere, ma certamente non può perdere». Traduciamo: il «residuo». Il fondo del barile grattato fino alla dissoluzione del legno antico e non rimane che il vintage da fine impero. Non si tratta di un brutale j'accuse nei confronti di Berlusconi; è la modesta e sobria realtà. Tutto qua. Hai visto il film «Ogni maledetta domenica» di Oliver Stone, con un gigantesco Al Pacino, coach di una squadra di football alle corde? C'è la mitica sequenza dello spogliatoio, quando Pacino motiva i suoi alla battaglia, «centimetro dopo centimetro»: vinceremo come collettivo o falliremo come individui. E poi: «È il football, signori. È la vita. È tutto qua». Noi ragioniamo spesso di politica come se quest'ultima facesse parte di un mondo parallelo, come ci ha insegnato Machiavelli. Ma, oggi, le cose non stanno più così. Il Cardinal Bagnasco, cioè la Chiesa, sta cogliendo il grumo sodo e inesorabilmente oggettivo della vicenda: l'etica pubblica converge con quella privata. Questo - lo sai bene direttore, ne abbiamo parlato tante volte - è un mondo allo sbando, senza punti di riferimento, tutto si gioca centimetro dopo centimetro, come nel football. Anche oggi, però, non si fanno prigionieri. Tu sei stato in California e conosci gli States: da quelle parti, non ci sono sport che finiscono in pareggio, o si vince o si perde. È così nel football, nel basket, nel baseball, gli sport americani, il resto è contorno e folklore. In Italia, siamo, invece, al duplice asset: il Grande Basta del popolo e il Residuo marginale, pur «vincente». Il paradosso di una fase eroica e controversa come il cosiddetto berlusconismo, che non deve chiudersi con una Piazzale Loreto. La fase 2, dopo il «rischia di non vincere, ma certamente non può perdere», potrebbe essere questa: Piazzale Loreto. La Seconda Repubblica è nata sotto schiaffo e con lo «stato di eccezione» berlusconiano. Ma non era Weimar. Se si passasse dal semilavorato istituzionale al post-Weimar, di schianto, saremmo costretti a difendere la persona di Silvio Berlusconi, centimetro dopo centimetro. Cui prodest? A chi giova? Forse a qualcuno, all'estero, che sta pensando di colonizzare l'Italia per la seconda volta, dopo gli anni '90, ma vedo che questo scenario non inquieta i geniali spin doctor di corte. Tu, però, sai che si tratta del dramma dell'infinita transizione a non-so-cosa che Berlusconi non è riuscito a compiere. Tutto qua. È il football, signori. È la vita. Tutto qua. di Raffaele Iannuzzi PERCHE' DEVE RESTARE Caro Iannuzzi, il tuo articolo è maledettamente bello e (forse) in queste ore s'avvicina allo scenario reale più di quello che sto scrivendo. Ma se proiettiamo lo sguardo e spostiamo il calendario più in là di poche settimane, allora la dimensione di cui stiamo cercando di tracciare i confini cambia decisamente aspetto. Gli avversari di Berlusconi stanno facendo i conti con il Cavaliere, ma dimenticano un dettaglio: il berlusconismo. Sedici anni di storia italiana non sono bastati a fargli entrare in testa che Silvio è stato solo il miglior interprete del berlusconismo, non il suo creatore. L'uomo venuto da Arcore non ha inventato un tipo umano nuovo, non è il grande plasmatore del golem italiano, non è il fabbro solitario che forgia il carattere della nazione. Ne è stato uno straordinario sismografo e di volta in volta ha adattato il suo messaggio e la sua politica ai movimenti della massa sottostante, il popolo. Punto. Eppure la sinistra prima e i finiani oggi pensano che levando di mezzo il Cavaliere poi si spiani la strada al loro felice regime oligarchico. Siamo di fronte a un errore storico e a un'assenza di autocritica davvero strabilianti. Quest'assenza di visione conferma che il Cavaliere ha ancora moltissime frecce nel suo arco. Saprà scoccarle? Berlusconi nell'immaginario del Paese è «umano», non sta sul piedistallo del potere e - a dispetto dei teorizzatori della metafora sovrana e ieratica del corpo del leader - è percepito come il prototipo dell'italiano. Cosa impossibile per gran parte della classe dirigente e dell'establishment. Quando Eugenio Scalfari scrive - con il sopracciglio rigorosamente alzato - che tra il Cavaliere e il popolo non c'è alcun corpo intermedio (il partito) ha ragione, ma proprio questo rende Berlusconi unico nella politica italiana. Il rapporto del Cav con il suo elettorato è ancora saldo. Chi sogna la caduta del presidente del Consiglio deve ascoltare bene che cosa dicono e pensano i cittadini, capire che battere Berlusconi non è un'operazione di Palazzo, ma un lungo lavoro nel cuore e nella mente della società italiana. Non è stato fatto ieri, non c'è tempo per farlo oggi. Il berlusconismo è più che mai vivo nel Paese e la vera domanda da porsi è un'altra: Silvio è ancora un prodotto vincente sul mercato elettorale? Vedremo. Caro Iannuzzi, dai un'occhiata allo scaffale della politica, sono certo che anche tu non vedi alcun «campione nazionale», nessun forte interprete del carattere degli italiani. Berlusconi ieri ha messo nero su bianco di volere il voto di fiducia prima al Senato e poi alla Camera. Di fronte all'apertura di una crisi extraparlamentare da parte del Presidente della Camera (fatto inaudito) Berlusconi risponde con una mossa istituzionale che non fa una piega. Chi è più rispettoso delle istituzioni agli occhi dei cittadini? Il manovriero Fini o il Cavaliere? La comunicazione, il messaggio che traspare da questa crisi di governo è fondamentale per il «dopo» al quale io guardo con più interesse «dell'adesso» in pieno svolgimento. Perché nel «dopo» c'è un fatto ineludibile: il voto. Quando gli italiani andranno alle urne, sarà difficile addomesticare il berlusconismo, la sua visione del mondo, la sua condivisione della «storia italiana» del Cavaliere. Le immagini e le parole di questi giorni sono un toccasana per il movimento d'opinione che da sedici anni vota Berlusconi. L'accerchiamento feroce, l'assalto alla diligenza, la foga ghigliottinatrice e la bava alla bocca degli avversari sono il gerovital per Silvio, stanno rinvigorendo la base e risvegliando lo spirito del 1994. Sbaglia chi pensa che quella narrazione sia finita. Se la crisi va verso il voto - e le premesse ci sono tutte - il Cavaliere ha una prateria nella quale galoppare. Certo, può perdere le elezioni e uscire di scena, oppure soccombere a una manovra di Palazzo che non prevede il voto ma un papocchio di governo, ma se guardo la situazione politica reale, al posto del Comitato di Liberazione Nazionale da Silvio non dormirei tranquillo. La decisione di Berlusconi di andare subito dopo l'approvazione della manovra a contarsi al Senato e alla Camera è la conferma del suo spirito combattente. La differenza tra lui e i suoi odiatori in servizio permanente effettivo è tutta qui: lui è pronto al voto, loro no. Lui non teme di chiedere agli italiani «decidete voi», gli avversari sono terrorizzati dalla scheda nella mano dell'elettore. Questo dovrebbe anche suggerirti, caro Iannuzzi, qual è il reale scenario in cui siamo immersi, qual è la vera posta in gioco e quali sono i caratteri e i personaggi di questa storia gattopardesca. Se fosse tra noi, Giuseppe Tommasi di Lampedusa avrebbe davvero materiale sublime per scrivere un altro capolavoro. In queste ore assistiamo al «riposizionamento» di quanti hanno mangiato nel piatto del Cavaliere e oggi sputano schifati dopo aver digerito tutto, vediamo i calcoli di chi pensa di costruirsi un avvenire all'ombra dei predestinati alla vittoria. È una cosa che personalmente non ci riguarda. Eravamo liberi ieri, lo siamo oggi e lo saremo anche domani. Ma non possiamo tacere il nostro divertimento nel vederli affannare, scodinzolare e ancora una volta sbagliare i conti per assenza completa di visione, sensibilità e capacità di lettura della società italiana. Stiamo per assistere al «the end» di questo colossal e dalla sceneggiatura emerge una lezione: Berlusconi in questa battaglia finale forse non vince, ma certamente non perde. di Mario Sechi