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Napolitano si sfoga

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Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

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È quasi ora di pranzo, Roma è scaldata da uno splendido sole, gli ultimi appassionati di jogging stanno tornando a casa. Una scorta discreta staziona all'ingresso di Villa Pamphili da porta San Pancrazio. Poco più avanti alcuni uomini vestiti di scuro, a passo felpato cercano di non dare nell'occhio, circondando due amabili vecchietti che passeggiano, parlottando fitto fitto. Uno è vestito con un lungo cappotto blu, occhiali da sole e cappello. Si spiega, scandisce le parole, ragiona: è Giorgio Napolitano. L'altro è vestito più informale, di marrone, pantaloni di velluto e giacca, un maglione chiaro sotto. Argomenta, obietta: è Emanuele Macaluso. Era una vecchia usanza dei comunisti quella di parlare all'aria aperta quando c'è da dirsi qualcosa di delicato, riservato e istituzionalmente sensibile. Con effetti persino paradossali. Quando Gerardo Chiaromonte divenne presidente del comitato di controllo sui servizi segreti, se nel suo ufficio aveva qualcosa di particolarmente confidenziale da rivelare, diceva al suo interlocutore: «Andiamoci a prendere un caffè». E se quello non capiva, gli faceva cenno con l'indice verso l'alto e lo invitava con gli occhi di osservare il soffitto, come se nelle pareti fosse nascosto chissà quale microfono o microspia (ed era colui che doveva sorvegliare sull'operato degli 007 italiani). Comunque sia, Napolitano e Macaluso ieri stavano a chiacchierare al parco. Impossibile carpire qualunque sillaba anche perché la scorta faceva attenzione a non far notare troppo la propria presenza ma era piuttosto inflessibile con chi provasse ad avvicinarsi. L'opinione diffusa tra gli amici del presidente della Repubblica, coloro che parlano spesso e ne raccolgono i suoi uomori, il quadro sembra piuttosto fluido ma con alcuni punti cardinali chiari. Fino all'approvazione della legge di Stabilità non sono attesi scossoni. In serata il Quirinale ricorda che il via libera della Finanziaria fu considerata una priorità anche «nelle vicende di fine anno 1994». Il riferimento è alla crisi del primo governo Berlusconi, che fu formalizzata dopo il sì ai conti pubblici e che portò al governo Dini. E dopo? Sempre tra i Napolitano boys il pensiero più comune è che il presidente non pensi alle elezioni in caso di caduta di Berlusconi, la considera un'ipotesi remota e comunque non certamente a marzo. Altra ipotesi remota è un ribaltone come quello di sedici anni fa, la prima indicazione è quella di cercare una soluzione all'interno della maggioranza di centrodestra. Si ripartirà da Silvio Berlusconi, quindi dalla valuta la richiesta del Pdl nelle consultazioni e solo dopo verranno esplorate altre ipotesi. Spiega Macaluso, raggiunto al telefono nel pomeriggio: «Penso che ci sia una preoccupazione generale per la situazione, in particolare per quella economica e finanziaria. Non ci possiamo permettere che a pagare sia il Paese». D'accordo, e dopo? «Dopo il presidente del Consiglio dovrebbe verificare se è ancora nelle condizioni di andare avanti, se ci sono i numeri. Se è ancora in grado di mediare con una parte della sua maggioranza». Bene, e se non fosse possibile questa intesa? «Giolitti lasciò il governo, anche se dopo ritornò; De Gasperi lasciò, Fanfani pure lasciò; anche Moro lasciò la guida dell'esecutivo e persino Craxi fece un passo indietro. Non mi sembra un evento traumatico. Siamo una democrazia parlamentare e in Parlamento si cercherà un nuovo sbocco», risponde Macaluso. Stavolta però abbiamo votato quasi con l'elezione diretta, non sarebbe una violazione della volontà popolare? «Ha detto bene lei: quasi - replica uno dei big del Pci -. Fu una forzatura quella di Veltroni e Berlusconi, bisogna tornare alla normalità. Se Berlusconi non è nelle condizioni, penso che il centrodestra abbia altre soluzioni. Pisanu, il ministro dell'Economia, Letta. Sarebbe davvero allarmante se una coalizione dimostrasse di non avere classe dirigente oltre l'attuale premier». La pensa così anche Napolitano? «Il Capo dello Stato mi pare sia molto preoccupato per una cosa. Che in Italia, salvo due-tre eccezioni, le legislature non riescono ad arrivare alla conclusione naturale. È l'unico caso in Europa. In effetti è davvero inquietante questo continuo senso di precarietà». È quello che vi siete detti stamattina? «Stamattina abbiamo parlato di libri e delle rispettive famiglie. Ho fatto una passeggiata con l'amico Giorgio». Anche Andrea Geremicca, un altro amico di vecchia data di Napolitano, esprime gli stessi concetti: «Credo ci sia una comune convinzione. E cioé che anzitutto bisogno evitare il voto, sarebbe il terzo in quattro anni. Il Paese attende risposte». E se la situazione precipitasse? «Altra convinzione è che non sia il caso di andare al voto assieme con amministrative e Politiche, credo che anche il governo non intenda accoppiare i due turni. E infine, non è secondario il fatto che sono in corso le celebrazioni del centocinquantenario dell'Unità d'Italia, che avranno il loro culmine a marzo. Non credo che al presidente della Repubblica faccia piacere che il punto più alto di questo solenne momento si svolga in un clima da campagna elettorale. Secondo me, ma è una mia opinione, nell'ipotesi più drammatica non si vota prima di giugno».

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