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La partita del Cavaliere

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{{IMG_SX}}Oggi i ministri finiani si dimettono. Sarà il primo atto formale di una crisi che per ora si è svolta tutta su un terreno extraparlamentare e da questo momento comincia a viaggiare su un piano istituzionale, con tempi e modi che non dipendono soltanto dalla volontà dei leader politici. Questo è un primo fattore di chiarezza, un tassello importante per i cittadini che si formano un'opinione e prendono posizione. Finora tutta la scena s'è svolta fuori dal Parlamento, proiettata e amplificata sui media, senza un aggancio istituzionale, a parte qualche scazzottata (metaforica) in aula su singoli provvedimenti. Gli strumenti parlamentari per gestire la crisi entreranno in funzione e sarà interessante vedere non solo quale peso avranno, ma chi favoriranno nella partita. Gianfranco Fini in questo scenario ha un ruolo doppio: è il presidente della Camera e nello stesso tempo il leader del gruppo che ha aperto la crisi (extraparlamentare) e tra qualche giorno - subito dopo l'approvazione della manovra economica - voterà la sfiducia al governo. Già questo aspetto è indicativo del numero di complicazioni e variabili in campo. Stiamo andando a grandi falcate verso una crisi «al buio». Silvio Berlusconi ha fatto la mossa - che avevamo anticipato sul nostro giornale - di chiedere un dibattito al Senato e alla Camera. Dopo giorni di meditazione e attesa ha deciso di riprendersi il suo ruolo. Nessuno ha certezza su quale sarà l'epilogo, ma alcune ipotesi sono in campo e le motivazioni dei protagonisti sono palesi. Il problema è la distanza tra le aspirazioni e la realizzazione degli scenari previsti dalle parti. Cerchiamo di mettere un po' d'ordine sulla scacchiera, osserviamo i singoli pezzi e cerchiamo di immaginare cosa ci attende.   Silvio Berlusconi. Cominciamo dal capo del governo. Il suo obiettivo è quello di durare senza farsi logorare, ma l'idea di proseguire il cammino come prima è impraticabile. Il Cavaliere a questo punto ha la possibilità di farsi votare la fiducia al Senato, scommettere sulla Camera ma tenendo ben presente il voto contrario e la caduta a Montecitorio. In questo caso, il presidente del Consiglio salirà al Quirinale con in tasca le dimissioni e una carta in più: la maggioranza a Palazzo Madama. Questo è il punto chiave dal quale Berlusconi può iniziare a giocare la sua partita. Ieri ha cominciato calando sul tavolo la carta dello scioglimento della sola Camera. È un caso previsto dalla Costituzione, è già accaduto nella storia. Questa sortita è la risposta a chi piega le regole parlamentari a suo uso e consumo: 1. a chi dice (Franceschini, per esempio) che il premier non può - e invece è un suo diritto - chiedere di fare il suo discorso prima al Senato; 2. a chi usa come precedente politico il ribaltone del 1994 (evocato perfino da fonti quirinalizie) come preludio e giustificazione per le prossime mosse. Berlusconi con l'idea dello sciogliemento di Montecitorio ricorda ai custodi delle regole che la Carta offre alla politica soluzioni diverse e più fondate di un governo degli sconfitti. La fiducia a Palazzo Madama è la base per un suo eventuale reincarico e lo strumento con il quale può sbarrare la strada a un governo di transizione.   Gianfranco Fini. Vuol far cadere Berlusconi. Ma non vuole votare. Farà di tutto per evitare il ricorso alle urne e ogni sua mossa tenderà a favorire la nascita di una maggioranza alternativa. L'ideale per lui è che a questo piano aderiscano altri pezzi del Pdl, la Lega e magari lo stesso Berlusconi. Su quest'ultimo non potrà contare e le sue possibilità di manovra perciò sono ridotte. Avrà come alleato - rigorosamente a tempo - Pier Ferdinando Casini. Caduto il Cav, la partita diventerà doppia: una di Fini e l'altra di Casini. Finiranno per scontrarsi. Il Terzo Polo è già diviso e per questo difficilmente vedrà mai la luce.   Pier Ferdinando Casini. Anche lui vuole la fine dell'era Berlusconi. E anche lui non vuole votare. È l'unico punto di convergenza con Fini, per il resto è culturalmente e politicamente distante anni luce dal fondatore di Fli. La coppia dell'ex Casa della Libertà è già in competizione per il dopo-Berlusconi, ma prima deve far fuori il Cav. Per farlo servono fortuna e alleati. Primo mattone da posare: costruire il Comitato di Liberazione Nazionale da Silvio e convincere il presidente Giorgio Napolitano che appoggiarlo è cosa buona e giusta.   Pier Luigi Bersani. Desidera la fine di Berlusconi. E non vuole votare. Programma minimo e un bisogno assoluto di tempo per respingere gli assalti alla sua leadership. Mosso da questa urgenza è pronto a tutto. Dipende in toto dalle mosse di Fini e Casini.   Antonio Di Pietro. L'odiato Cav è il suo bersaglio. Le elezioni il suo sogno, la miscela esplosiva che gli serve per far saltare il Pd ed egemonizzare l'opposizione. Non gli piacciono i governi tecnici e non si dannerà l'anima per averne uno. L'oppositore più tosto sarà il complice più prezioso per Berlusconi.   Umberto Bossi. Ha fallito la mediazione con Fini e ora vede le elezioni dietro l'angolo. Voleva Tremonti a Palazzo Chigi, ma per Giulio non sembra ancora giunto il momento dell'investitura. Comunque vada, Umberto vincerà la partita. Se si vota farà il pieno di benzina nel Nord e controllerà il pezzo d'Italia che va.   Giorgio Napolitano. Il presidente non vuole sciogliere le Camere. Per lui la crisi è una preoccupazione e il voto una totale incertezza. Cercherà una soluzione condivisa tra le forze politiche, una maggioranza politica, con l'assenso di Berlusconi. Sarebbe anche per il reincarico a Silvio, ma la diga di Casini e Fini a questa ipotesi rischia di far saltare tutto. A quel punto Napolitano sarà di fronte a un bivio: sciogliere le Camere e mandare il Paese al voto in primavera, oppure provare la via di un governo tecnico senza il Cav e sperimentare la frattura con i cittadini che hanno votato centrodestra. Sa che questo è un pericolo, una ferita sul corpo elettorale. Vuole evitarlo, ma alla fine qualsiasi cosa decida scontenterà qualcuno. Non gli basterà guardare solo alla Costituzione formale. In ballo c'è l'unità del Paese.   La magistratura. Da sedici anni è il dodicesimo uomo in campo contro Berlusconi. Il 14 dicembre la Corte Costituzionale boccerà il legittimo impedimento (questo è il tam tam di Palazzo) e la prospettiva del Cavaliere è quella di beccarsi dai giudici di Milano una condanna per il processo Mills con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. La sentenza sarà esecutiva solo con la pronuncia della Cassazione, ma a quel punto la giustizia correrà al galappo e nell'autunno 2011 avremo il botto dei botti. Nei mesi precedenti, la sentenzona sul Cav alimenterà l'incendio neroniano della campagna elettorale, condizionerà il futuro governo e ogni ipotesi di riforma condivisa. Tra un mese avremo chiaro come sarà il campo di battaglia dell'anno prossimo. Roba da fuoco d'artiglieria pesante e cavalleria corazzata. Messa così, la situazione suggerisce una sola conclusione per gli italiani: si salvi chi può.  

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