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Berlusconi si affida alla fedeltà del Senato

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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Il Pd ha presentato una mozione di sfiducia a Berlusconi alla Camera. E il Pdl ha, a sua volta, presentato una mozione di sostegno al governo al Senato. Sono i due atti parlamentari che fotografano alla perfezione lo stretto sentiero che attende il premier nei prossimi giorni. A partire da lunedì, quando Futuro e Libertà ritirerà la sua delegazione di sottosegretari e del ministro Andrea Ronchi. La carta che giocherà il Cavaliere sarà proprio quella di chiedere la fiducia al governo a palazzo Madama, dove la maggioranza è abbastanza sicura di farcela anche senza i finiani. Il tutto avverrà subito dopo l'approvazione della legge di stabilità, così come ha raccomandato Giorgio Napolitano. E a quel punto, incassato il sì dei senatori, Berlusconi si presenterà anche alla Camera. Lì, senza Fli che potrebbe decidere di appoggiare la mozione del Pd, il Pdl e la Lega andranno in minoranza.   E Berlusconi non potrà far altro che andare da Napolitano e presentare le dimissioni. Forte però del sostegno di uno dei due rami del Parlamento. Una situazione che renderebbe difficile la possibilità da parte di Napolitano di avallare l'ipotesi di un governo tecnico. L'unica soluzione sarebbe quella di dare nuovamente l'incarico al premier uscente per trovare una nuova maggioranza e, nel caso non ci riuscisse, di andare al voto. «Da un punto di vista giuridico – ragiona il sottosegretario Andrea Augello – il Capo dello Stato non avrebbe alcun impedimento a percorrere la strada di un esecutivo tecnico. Altro discorso è se si valuta la situazione sul versante politico, perché il governo potrebbe avere comunque la maggioranza in una delle Camere». Dunque percorso obbligato? Augello è scettico: «Io non sottovaluterei Fini. Se ha scelto di andare allo scontro è impossibile che non abbia messo in conto la possibilità di giocarsi la partita del governo tecnico...». Ed è proprio per questo che Berlusconi non vuole aprire una crisi al buio, affidando le sue possibilità di restare alla guida del Paese a una trattativa con Fli e Udc dopo le sue dimissioni. Il Cavaliere non si fida di Fini e non si fida di Casini. Lo ha ripetuto fino alla nausea ai vertici del Pdl anche in questi giorni in cui era a Seul per il vertice del G20: «Vogliono solo farmi fuori, a loro non interessa governare insieme a me».   Ecco perché la soluzione di una maggioranza allargata viene tenuta in scarsissima considerazione. Un'idea che non fa presa neppure tra la base del Pdl: su «Forzasilvio.it», il sito dei sostenitori di Berlusconi, si invita a votare un sondaggio che prevede tre opzioni: «Andare avanti con il Governo, che tanto non riusciranno a farlo cadere; Lasciare che Fli voti contro il Governo e poi andare direttamente alle elezioni, dando la parola al popolo; Piantarli tutti in asso e lasciare che al Governo vadano le opposizioni anche se sarebbe un grave danno per il Paese». L'ipotesi di una nuova maggioranza non è neppure contemplata. E del resto anche i vertici dell'Udc ieri hanno fatto capire che a questo punto l'idea non garba più neppure loro. «Non mi sembra che ci siano le condizioni per prevedere Berlusconi nel nuovo governo», ha commentato il segretario dei centristi Lorenzo Cesa. E Rocco Buttiglione è stato ancora più esplicito: «Berlusconi si deve dimettere, un ciclo politico è finito». Ma il ministro Ignazio La Russa rilancia anche un'altra ipotesi: «Napolitano ha tutte le prerogative, anche quella per esempio di sciogliere solo la Camera e non il Senato. Non è che lo chieda, dico che è possibile anche questo». Che la situazione sia complicata e contempli anche sbocchi non certo favorevoli al Cavaliere lo dimostra l'atteggiamento tenuto dal premier in questi giorni a Seul. A parte qualche battuta con gli altri capi di Stato Berlusconi ha preferito tacere.   E ieri ha addirittura disertato la conferenza stampa finale del vertice. Tutto era pronto ma all'ultimo momento, quando un funzionario dell'ambasciata italiana stava per accompagnare i giornalisti accreditati, è arrivato il contrordine. Il premier era già nella limousine diretta all'aeroporto. Insieme a Giulio Tremonti, Paolo Bonaiuti e il resto della delegazione italiana.

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