S'è bruciato il Biscottone
Tutto da rifare. I cuochi di Palazzo hanno sbagliato ricetta e intensità della fiamma e il Biscottone per Silvio s'è bruciato. Il Nostro non ha abboccato alla pietanza da cambio di regime e ha tutta l'intenzione di esser lui a decidere il menù. Ventiquattr'ore dopo siamo punto e a capo e stavolta lo chef più svelto con i colpi di padella è stato Berlusconi. Dimettersi? Neanche per sogno. Berlusconi bis? Non s'ha da fare. Il Cavaliere ha fatto volteggiare le uova in aria e la frittata è finita in faccia a chi pensava di bollirlo nel pentolone a fuoco lento. Niente Biscottone. Niente Pentolone. La dieta resta quella del cuoco Michele e i piattini preparati da Gianfranco Fini e l'establishment che lavora al disarcionamento del Cav restano nelle mani dei camerieri che volteggiano in sala senza sapere perché. Fini dice che Berlusconi può accomodarsi in panchina e a Palazzo Chigi deve andarci un altro. Berlusconi risponde picche e lo sfida a votargli contro in aula. Il primo è impegnato nel giochetto di Palazzo, il secondo vuole che si voti prima in aula e poi anche nel Paese. Messa così, la crisi è da buio pesto e in effetti nessuno sembra vederci benissimo, ma se dovessi puntare una cifra al totalizzatore del Gran Premio Palazzo Chigi 2010 io scommetterei ancora su Berlusconi. Provo a spiegare perché. È vero che il Cav ne ha combinato una più di Bertoldo e spesso ci ha fatto disperare con delle uscite degne di Tafazzi, ma alla fine della fiera abbiamo scoperto dando un'occhiata ai sondaggi che dei suoi «fatti di mutande» agli italiani non gliene importa un fico secco. Saranno stilisticamente criticabili e a una quota di elettori certamente non piacciono, ma quando si va al voto non si decide in base all'ars amatoria di Silvione. Il viagra elettorale è un fiasco, non riempie le urne degli avversari e in tempi di crisi economica contano altre cose. Fini e la sinistra hanno cominciato a rendersene conto e per questo le elezioni sono un incubo. Cerchiamo di riordinare le stoviglie e le pietanze che sono rimaste in giro per la cucina del Palazzo. Il Biscottone. Lo stavano cucinando da giorni Fini e i suoi potenziali alleati. La formula era semplice: la farina dello scandalo sessuale (Ruby), le uova del voto determinante dei ministri finiani, lo zucchero del governo tecnico per chi rischia la poltrona, la crema finale di una crisi pilotata con Berlusconi che mastica tutto e si lascia condurre ai giardinetti. Errore fatale: tutte le volte che il Cavaliere è alle corde, si risveglia in lui il leone di Arcore. E dal G20 Silvio risponde «niet» e resta al suo posto. Tutto questo mentre Umberto Bossi aveva educatamente lasciato a casa il dito medio alzato e in nome della Realpolitik s'era messo al tavolo con Fini per cercare una via d'uscita e salvare la riforma federalista. Dopo qualche minuto il Senatur ha capito che il problema non è politico, ma psicologico. Fini vuole vedere Silvio spiaccicato sul muro della politica, altro che Berlusconi bis. A quel punto pure la soluzione Tremonti è tramontata e buonanotte. Il Pentolone. L'acqua sta bollendo da tempo, ma il Cavaliere ha deciso di saltar fuori e rovesciare tutto. Basta farsi logorare. Vuole parlamentarizzare la crisi e scendere in campagna elettorale. E nel pentolone ora ci sono i finiani. Si dimetteranno nel giro di poche ore ma tra loro aleggia una domanda: «E ora che si fa?». Fini ha garantito a Napolitano il voto del suo gruppo alla Finanziaria e questo apre una contraddizione mortale per chi si propone come il celodurista della situazione. Berlusconi nel frattempo avrà due opzioni: sostituire i ministri dimissionari, oppure lasciare tutto così com'è e procedere con gli interim fino a quando i finiani non saranno costretti a votargli contro in aula. Allora il cerino si spegnerà tra le dita di Fini. La Frittata. A quel punto la frittata sarà fatta e Berlusconi potrà decidere di andare in aula e affrontare la prova del voto di fiducia. La crisi è certamente al buio, ma soluzioni alternative al governo di Berlusconi per ora non se ne vedono. Napolitano non metterà mai il sigillo del Quirinale su un governo degli sconfitti, mentre Berlusconi e Bossi avranno formidabili armi da giocare in una campagna elettorale nucleare. Dopo il voto dei finiani che ha ribaltato il trattato con la Libia sui respingimenti degli immigrati, nel Nord un manifesto con Fini sul barcone sarà più che sufficiente per lasciare il bastimento di Futuro e Libertà con le vele sbrindellate. Al Sud il partito antiberlusconiano di Gianfranco dovrà contendersi i voti con l'Udc di Casini, gli arrabbiati di Di Pietro, il Pd bersaniano in versione si salvi chi può e il decatleta Nichi Vendola in corsa per fare il salto in lungo nazionale. Sarà durissima. Il Pdl lascerà sul campo settentrionale molti voti alla Lega, qualche altro lo perderà nel Mezzogiorno, ma se uno legge i dati è chiaro un concetto che può sembrare paradossale: Berlusconi rischia di non vincere, ma certamente non può perdere. Bruciato il Biscottone, rovesciato il Pentolone, fatta la Frittata, resta una sola pietanza possibile per stendere il Cav: l'insalatona mista dell'ammucchiatissima contro Berlusconi. Da oggi tutti si spostano nell'orto.