"Vado ai vertici mondiali e quelli fanno i giochetti"
Sono quasi le otto di sera di martedì quando a L'Aquila, finita la cerimonia nella caserma di Coppito, Silvio Berlusconi saluta tutti frettolosamente corre via: «Devo andare all'incontro più importante della giornata», si lascia scappare. Il corteo delle auto riparte dal capoluogo terremotato, quella di Gianni Letta prende direzione Roma, quelle del premier invece direzione Marino. Per la precisione quinto chilometro dela strada dei Laghi dove c'è la villa di Antonio Angelucci. È un deputato del Pdl, re delle cliniche private ed editore di Libero e del Riformista. Fu voluto nelle liste da Gianfranco Fini ma al momento della scissione è rimasto con Berlusconi con il quale ha mantenuto un ottimo rapporto. Quando le auto vanno via, sono da poco trascorse le undici di sera, il Cavaliere è sconsolato. A chi lo incontra al suo arrivo a palazzo Grazioli, dove ad attenderlo c'è anche il figlio Pier Silvio, Berlusconi appare giù di morale: «Devo partire per un vertice internazionale, devo andare domani a Seul per il G20 e qui fanno i giochetti, mi tolgono la maggioranza. Non si rendono conto che espongono il Paese a una brutta figura internazionale». Che cosa ha fatto cambiare così tanto l'umore del premier in poche ore? A casa Angelucci, una bella villa nella collina dei dintorni romani, ci sono pochi intimi. C'è Raffaele Bonanni. E c'è anche Andrea Ronchi, il ministro finiano. Che comunque a Berlusconi appare irremovibile. L'ultimo, estremo tentativo di una mediazione impossibile. È il naufragio, la resa finale. Chi lo incontra ieri mattina, trova un premier giù di giri, che vede il suo governo viaggiare dritto verso la crisi. E c'è un punto che il Cavaliere continua a non digerire, se non addirittura a non comprendere: perché si deve dimettere? La richiesta di Fini gli appare come un inutile tentativo di ridimensionarlo. E soprattutto il premier continua a ripetere di non comprendere la sproporzione tra le richieste del leader di Fli di un nuovo programma (tutto sommato per palazzo Chigi le proposte fatte a Perugia sono in larga parte accettabili) e la crisi di governo. Insomma, se si tratta di piccole correzioni che bisogno c'è di rivedere l'intero esecutivo. Ma ormai sono ragionamenti che lasciano il tempo che trovano. Quando Berlusconi sale sull'aereo che lo porterà nella capitale asiatica, nel primo pomeriggio, a Roma è tutto un vortice di riunioni, incontri, capannelli, pranzi e cene. E persino prime colazioni. C'è addirittura chi giura di aver visto Fini entrare al Quirinale l'altra mattina poco dopo le sette. Ma sia Quirinale sia Montecitorio smentiscono categoricamente. È tutto un rincorrersi fino all'ultima riunione, all'ultimo faccia a faccia vero, falso o presunto. Darne conto completo sarebbe impossibile e soprattutto inutile. Quel che importa è il risultato finale e cioé che anche alcuni big del Pdl (ma non il Cav) sembrano cedere alla soluzione crisi pilotata. D'altro canto ha fatto breccia quanto Lorenzo Cesa, segretario Udc, ha spiegato a Berlusconi in questi giorni: se Silvio si dimette di sua sponte può riavere un mandato, se viene sfiduciato di fatto si crea un'altra maggioranza e allora anche per il Capo dello Stato diventa un problema riaffidargli la guida dell'esecutivo. D'accordo, e dopo? Si naviga a vista. Quel che appare chiaro è che Fini vuole una sorta di "governo dell'economia", vuole contare di più in quel campo. In questo senso sembra il replay della partita già giocata nel 2004, quando si arrivò alle dimissioni del ministro dell'Economia Giulio Tremonti (stavolta è salvo). Possibile che Fli chieda un vicepremier con una delega pesante. Si parla di Urso allo Sviluppo come ministro, in crescita Baldassarri. La corsa alle poltrone è iniziata. Se solo ci pensa Silvio gli viene l'itterizia. Le urne appaiono come sempre più probabili.