Conti al riparo dal voto ma a rischio le riforme
Unacrisi di governo non avrebbe un impatto negativo per la credibilità del Paese sui mercati internazionali. I conti pubblici sono stati messi in sicurezza dalla legge di stabilità in corso di approvazione alla Camera e dal Piano nazionale di riforma sul quale a gennaio si dovrà promnunciare Bruxelles. Quindi dal punto di vista internazionale l'apertura di una crisi politica e il ritorno alle urne non provocherebbe danni all'immagine italiana. Gli analisti di Bloomberg, l'agenzia di stampa Usa, in un recente report, hanno sottolineato che sui mercati internazionali l'Italia viene percepita come un Paese talmente immune alla crisi dei debiti sovrani che anche una eventuale caduta del governo Berlusconi non spingerà i costi dell'indebitamento sui livelli di Grecia, Irlanda e Portogallo. Le ultime aste dei titoli di Stato sono andate molto bene a conferma di questa argomentazione. Lo spread, o differenziale di rendimento, tra i Buoni a dieci anni e il corrispettivo Bund tedesco questo mese è salito appena di 20 punti base a 162,2 punti, meno di un quarto rispetto all'incremento dello spread tra i titoli Irlandesi e Portoghesi col Bund. Inoltre trapela da Bruxelles che, per l'immagine dell'Italia, sarebbe preferibile il ritorno al voto più che il papocchio di un governo tecnico. I capi di Stato e le istituzioni dell'Eurogruppo preferiscono avere a che fare con un governo politico che con tecnici a scadenza ravvicinata. Ma se sul fronte della stabilità dei conti pubblici una crisi di governo non avrebbe alcun impatto, diversa la questione del fronte interno. Tutte le riforme in cantiere subirebbero una battuta d'arresto con danni al ritmo della ripresa. L'anello debole è proprio il fronte dello sviluppo. Al palo resterebbero la riforma del'Università, quella fiscale, la riforma della giustizia, e l'avvio dell'Agenzia per il nucleare. Sul federalismo i provvedimenti sono stati già depositati in Parlamento e Berlusconi si era impegnato a mandarli al traguardo entro Natale. È evidente che una crisi politica potrebbe rallentare questo iter o farlo saltare. L'impatto si farebbe sentire a livello di fiducia interna al Paese. Il che significa più attenzione agli investimenti da parte del mondo imprenditoriale, maggiore incertezza sul mercato del lavoro. Se si andasse al voto a marzo si avrebbero circa cinque mesi di immobilismo parlamentare. Il governo avrebbe appena il tempo di designare il presidente della Consob per il quale c'è già il nome del viceministro dell'Economia Giuseppe Vegas. Ma potrebbe restare in sospeso il rinnovo del vertice dell'Authority dell'energia (il presidente Alessandro Ortis scade a dicembre). Il nuovo governo si troverebbe a dover decidere subito per i vertici delle più importanti aziende pubbliche, Eni, Enel e Finmeccanica, che scadono la primavera prossima.