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Mozioni avvelenate per arrivare alla crisi

Gianfranco Fini

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La palla, ora, è tornata nel campo di Fini. Dopo il «si va avanti» di ieri pronunciato da Bossi e Berlusconi spetta di nuovo al presidente della Camera il prossimo passo. Se, come annunciato a Bastia Umbra, ritirerà la delegazione di Futuro e Libertà dal governo, l'apertura della crisi sarà inevitabile. Ma quello che neppure i finiani sanno è quando questo accadrà. Se in tempi rapidi – come sperano i più, compresi i moderati Moffa, Viespoli e Menia – oppure se con scadenze più lunghe, nel caso Fini decida di sfruttare il suo lato «democristiano» e lasci i suoi uomini al loro posto. Di sicuro su tutto pesano le parole di Napolitano che ha richiamato tutti a rispettare l'impegno di approvare entro la fine dell'anno la legge di stabilità e il bilancio. A dettare i tempi ci prova comunque Italo Bocchino, leader dell'ala dei duri e puri. Ma sono tempi che non riguardano il ritiro della delegazione dei ministri quanto piuttosto il percorso parlamentare. Con una minaccia ben precisa . «Se Berlusconi sta asserragliato a palazzo Chigi – spiega il capogruppo di Fli alla Camera – tra un mese ci sarà un incidente tecnico che farà cadere il governo. Adesso Berlusconi deve decidere se accettare le condizioni dette da Fini per un patto di legislatura. Se accetta riuniamo i moderati per dar vita a una maggioranza più ampia e si va avanti, oppure ci si rende conto che c'è la crisi». E quel richiamo a «incidenti tecnici» è un messaggio che fa capire come sulla strada della maggioranza in Parlamento sia stata piazzata qualche mina. Che potrebbe portare il centrodestra ad andare in minoranza. Al di là degli appuntamenti più «corposi», come il Lodo Alfano o la riforma della giustizia, sono le mozioni quelle che rischiano di provocare contraccolpi seri sulla tenuta della maggioranza. La prima è la sfiducia che il centrosinistra vorrebbe presentare contro il ministro dei Beni culturali per il crollo della casa dei gladiatori a Pompei. E che Futuro e Libertà potrebbe essere tentato di votare. Fabio Granata, deputato di Fli, ieri ha ribadito tutte le sue critiche a Sandro Bondi: «Confermo la richiesta di immediate dimissioni del ministro dei Beni culturali. Dopo aver sentito le sue parole e le sue giustificazioni, dopo anni di commissariamento di Pompei, si rafforzata negli italiani l'idea di una sua totale inadeguatezza nella gestione del più grande patrimonio culturale del mondo. L'Italia e la sua cultura meritano ben altro di un ministro che sostanzialmente ed esclusivamente solo ministro della Propaganda. Si dimetta e chieda l'istituzione di questo nuovo ministero al premier Berlusconi». La seconda mozione, che verrà probabilmente messa in votazione tra una quindicina di giorni, è quella depositata da Italo Bocchino e riguarda la privatizzazione della Rai e il pluralismo dell'informazione. Un'esca formidabile per il centrosinistra anche se le posizioni sul futuro di viale Mazzini sono diverse. Ma sulla richiesta di garantire maggior pluralismo l'opposizione non avrà esitazioni a votare. E a quel punto la maggioranza uscirebbe battuta dall'aula. Conseguenze? Secondo i moderati finiani un fatto non sufficiente ad aprire una crisi. Ma il pretesto sarebbe comunque assai ghiotto.  

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