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Il penultimatum di Gianfranco "Silvio dimettiti o ce ne andiamo"

Gianfranco Fini

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Quando Gianfranco Fini cita quelle tre parole («Berlusconi si dimetta») è un boato in sala. I seimila del padiglione di Umbria Fiere scattano in piedi, un'ovazione come in curva Sud ai gol di Borriello e Vucinic. E quell'esultanza è un dato che non va trascurato. Fini è stretto tra quella folla, la sua folla, e Napolitano che non vuole sciogliere le Camere e non desidera una nuova crisi alle porte. Fini è stretto da un lato dal pubblico del padiglione nove (ad ascoltarlo ad occhi chiusi, dimenticando dove si è, e giudicando solo sulla base delle parole d'ordine che lo fanno scaldare potrebbe essere quello di Di Pietro e Travaglio). E dall'altro da un Cavaliere che non c'è, ma ha ancora la forza di schiacciarlo nelle urne, soprattutto se prossime, con molte armi. Una fra tutte il "voto utile". Chiuso tra queste due tenaglie il presidente della Camera chiede esplicitamente le dimissioni del premier, chiede un nuovo governo, un nuovo programma e una nuova maggioranza con l'apertura all'Udc e in fin dei conti un nuovo stile di vita da parte di tutta la politica, anche se l'obiettivo principale della critica sembra proprio Silvio. «Berlusconi si dimetta, salga al Colle e apra la crisi. Senza questo colpo d'ala la nostra delegazione non rimarrà un'ora in più al governo», dice chiaramente Fini. Era stato preceduto da Andrea Ronchi che, giusto prima del suo intervento, aveva rimesso il mandato di ministro dell'Europa nella mani del presidente della Camera e con lui anche i sottosegretari Antonio Buonfiglio e Roberto Menia e il viceministro Adolfo Urso che in serata è partito per una missione del governo in Medio Oriente senza sapere se ancora ne avrebbe fatto parte al suo atterraggio. Come ci arriva Fini. Ragiona: «Il patto di legislatura è possibile solo se c'è una nuova agenda politica e un patto di governo da qui al 2013. Non basta il compitino dei cinque punti». Poi argomenta le condizioni: «Nuovo patto sociale, fiscalità di vantaggio per il sud» e «soprattutto togliere di mezzo la legge elettorale della vergogna». Di qui il percorso che porterebbe all'apertura della nuova fase. «Berlusconi deve avere il coraggio del colpo d'ala. Deve prendere la decisione di rassegnare le dimissioni - afferma - di salire al Colle e dichiarare aperta la crisi e avviare una fase un cui si ridiscuta l'agenda, il programma e verificare la composizione del governo e la natura della coalizione». Fini Parla piano ma affonda i colpi. Se la prende per «un'immagine dell'Italia nel mondo che il Paese non merita». «Che dolore la notizia del crollo di Pompei e quell'altra...che hanno fatto il giro del mondo», spiega riferendosi al caso Ruby. Insiste che «Berlusconi e il Pdl sono una pagina chiusa, noi siamo già oltre». Ma reclama sobrietà e cita gli esempi della prima Repubblica. «Ho rimpianto - dice - e credo che anche gli italiani lo abbiamo, del rigore, dello stile, del comportamento di persone come Moro, Berlinguer, Almirante, La Malfa: la prima Repubblica era anche in queste personalità che non si sarebbero mai permesse di trovare ridicole giustificazioni a ciò che non può essere giustificato». Per il resto il discorso di Fini è molto politico, a tratti alto, profondo. L'unica critica che gli si può avanzare è nella parte programmatica. Quando gli tocca esporre le sue proposte (e fin qui ancora non si sono viste proposte vere di Fli, dicono che ci sarà tempo) si affida a quelle degli altri, quelle del tavolo delle parti sociali. Più spesa per innovazione e ricerca, più trasparenza negli appalti della pubblica amministrazione, corretto utilizzo dei fondi per le aree sottosviluppate, avvio della fiscalità di vantaggio del Sud. Poi critica i tagli lineari di Tremonti. Infine Fini delimita i confini di Fli che finora era apparso come una formazione fluida, quasi liquida: «Nel nostro manifesto dei valori c'è il rispetto per la persona umana con la tutela dei diritti civili di ognuno: senza alcuna distinzione e senza alcuna discriminazione. Rispettare la persona non vuol dire distinguere tra bianchi e neri, tra cristiani, musulmani ed ebrei, tra eterosessuali ed omosessuali, tra cittadini italiani e stranieri. La persona è al centro di qualsiasi cultura politica che voglia creare i presupposti per l'armonia. E la legalità è la condizione essenziale per la libertà».

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