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Fini sembra Veltroni

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Fini

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Fini si è veltronizzato. Ormai è affetto anche lui dal morbo che ha paralizzato (politicamente s'intende) l'ex leader del Pd: il maanchismo. Che non è una variante del machismo. No, il ma-anchismo deriva dalla coppia di parole più ripetute da Walter Veltroni nella campagna elettorale di due anni fa: "Ma" e "Anche". Siamo con i bianchi ma anche con i neri. Siamo con i gialli ma anche con i rossi. Siamo per l'impresa ma anche per i lavoratori. Siamo per gli israeliani ma anche per i palestinesi. Siamo con i giovani ma anche con gli anziani. Ora Fini si trova in una situazione analoga. Finora Futuro e Libertà ha avuto un percorso contrario a quello di Forza Italia. È un movimento nato nel palazzo e che adesso prova a misurarsi con il Paese. Il punto è proprio questo: nel Paese si è creata una grande aspettativa nei confronti della nuova formazione politica e che sarà difficile non deludere. Perché essenzialmente finora Fini non ha ancora avanzato una proposta, non ha messo su tavolo una richiesta precisa, non ha provato a cambiare le priorità o a dettare l'agenda politica. Si è caratterizzato soprattutto come forza di interdizione, nella straordinaria capacità di minare il campo, di avvelenare i pozzi e comunque di bloccare l'iniziativa politica del governo. O meglio, in gran parte l'esecutivo era già fermo per sue responsabilità ma i finiani sono stati straordinari nell'intestarsi questo "merito". Il successo della prima Forza Italia, a cui Fini in qualche modo si ispira, fu esattamente il contrario: un milione di posti di lavoro, più libertà, più merito. Oggi a Bastia Umbra Fli presenterà il suo manifesto. Sul quale vige il più stretto riserbo. Ma è chiaro intuirne i contenuti, basta andare a rivedersi le prese di posizioni. Chi vuole rappresentare Fli? Quanti più italiani è possibile. L'Italia degli onesti, quella che si batte contro l'illegalità e la corruzione. L'Italia del merito. L'Italia del senso dello Stato, dell'interesse generale piuttosto del particulare. E vabbè, fin qui siamo al catalanismo, da Catalano, il "filosofo" di Arbore dai pensieri banali. L'unica novità è l'ambientalismo, lo spazio alla risorsa verde. Che d'altro canto è già ampiamente richiamata nel simbolo di Futuro e Libertà che lascia immaginare una destra in stile David Cameron. Come tutto ciò si debba realizzare, concretizzare, materializzare non è dato sapere. Finora l'unica proposta avanza da Fini è stata la privatizzazione della Rai. Non c'è un programma economico, non ci sono progetti per la riforma del fisco per la quale il governo ha appena aperto un tavolo. Tanto per fare un esempio. E non ci sono delle radici culturali, come ha ricordato sul Tempo Gennaro Malgieri. Di questo passo Fini si sta totemizzando. Diventa un totem. Un totem della legalità. Un totem del multiculturalismo. Un totem dei doveri. Un totem e basta. Immobile. E non serve per andare avanti. Ecco perché ora Fini è chiamato a decidere, a mostrare le carte. Ancora ieri con i suoi fedelissimi si è limitato a dire che aveva le idee chiare e che alla fine del vertice dei futuristi le aveva ancora più chiare. Ma quali sono nessuno l'ha capito. Si sono intuiti i capisaldi. Fini vorrebbe vedere morto (sempre politicamente, s'intende) Berlusconi nel più breve tempo possibile ma professa che resti a governare. Spera cada ma non se la sente di farlo cadere. E per farlo cascare dice in pubblico che deve governare, deve andare avanti ma in realtà si augura che inciampi al primo scalino e si faccia male. Su questa strada, sulla via del tatticismo sfrenato, è molto facile che Fini venga compreso nel Palazzo. Ma fuori? Chi ogni giorno si dimena con una crisi economica devastante, chi se la deve vedere con un Paese bloccato, chi non è tutelato e chi più banalmente è deluso dal Pdl che cosa ne può capire della linea di Fini? Per questo per Gianfranco si sta inesorabilmente avvicinando l'ora delle scelte. Di cominciare a dire chiaramente quale Paese immagina e come pensa di realizzarlo. Quali sono le sue priorità, quali decreti vuole che vengano varati, come pensa di cambiare l'Italia. E soprattutto, al netto dell'antiberlusconismo di destra, qual è l'altra Italia che sogna.

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