Tutti malati di protestite
Avanti popolo, «rifamo» il Sessantotto. «Rifamo» pure il Settantasette. Rispolveriamo i collettivi, le assemblee permanenti, i sitting, la Corazzata Potemkin, il femminismo dell'utero è mio e me lo gestisco io. Mettiamo insieme tutti i «rodimenti»: dei prof, degli studenti, delle donne, degli attori e dei registi engagé, degli scrittori. Ma, soprattutto, assembliamoli contro il «mostro» con la cravatta di Marinella e le scarpe dal tacco rialzato. «Piove governo ladro» potrebbe essere lo slogan buono per tutti. L'esercizio è omogeneizzare i malumori, schiaffarli tutti dentro la centrifuga. Prove di ribellione, epidemia di protestite, dunque. L'autunno caldo 2010 è cominciato col ritorno in piazza, pochi giorni fa, della Fiom. Avvio deboluccio, ché la classe operaia ha per modello quelli che girano in Suv. E però dàgli all'untore. Il Cav è l'imperatore del male, l'affossatore dell'italico genio, il re delle barzellette, lo stagionato leader di seratine hard. Piove governo ladro anche al Festival del Cinema. Giovedì sera il red carpet è diventato il set dell'okkupazione. Tutti stesi a terra ad azzannare Silvio, Bondi e Tremonti. Bellocchio e Purgatori, Ettore Scola e Virzì, Giulio Sermonti e perfino Barbareschi, che adesso attacca il governo perché sta con Fini. Il bel mondo della celluloide con i cartelli anche un po' fricchettoni, come quello rosa che diceva «Lodo cultura». Nostalgia del Festival di Venezia boicottato nel Sessantotto dalle pattuglie guidate da Citto Maselli e Carlo Lizzani. Pure quello sotto lo scettro di Gian Luigi Rondi, capacissimo però di camminare sui carboni ardenti. Fuoco e fiamme hanno minacciato gli attori. Una parte l'ha recitata anche Sergio Castellitto, presidente (del Festival), dunque uomo di lotta e di governo. In abito Fendi ha letto il comunicato degli attori. Così convincente che perfino Eva Mendes e Keira Knightley, catapultate nel gran casino in abito e trucco da passerella, non hanno potuto che aderire, ché fa politicamente corretto ed era l'unico surrogato del red carpet andato a farsi friggere. Ieri i titoloni dei giornali hanno fatto gonfiare il petto ai ribelli. Boicottaggio riuscito, abbiamo fatto sentire la nostra voce, chissenefrega se abbiamo armato il gran casino quando Palazzo Chigi con Gianni Letta aveva salvato in extremis il tax credit che dà fiato all'industria del cinema e Bondi si è impegnato a ripristinare il Fus. Il governo si attacca comunque, il ministro si prende di petto perché strangola il cinema a prescindere. Pollice verso, anche se il Festival di Roma, come la Mostra di Venezia, è pagati con i soldi pubblici, con i fondi dell'esecutivo «oscurantista». Ieri, il secondo atto, su un altro fronte. Scioperano gli studenti contro i tagli della scuola. In tutta Italia, da Milano a Palermo. Mettono alla berlina il ministro Gelmini, un'altra che fanno passare per zotica, col procedimento imparato dai compagni d'antan, la superiorità intellettuale della sinistra. Ma che fanno, le signorine? A Roma sfilano in migliaia da piazzale dei Partigiani verso viale Trastevere e il ministero della Pubblica Istruzione infilandosi le mutande sulla testa, a supporto dello slogan «la scuola è rimasta in mutande». Ovvero declinano la rabbia e la paura della precarietà con allusioni sessuali, ché tanto vanno di moda in questo Paese che fa politica guardando sotto le lenzuola. In contemporanea all'Auditorium, sul red carpet che di mattina è lasciato libero dai manifestanti (quei tiratardi degli attori come li butti giù dal letto alle dieci?) Valeria Golino, protagonista del film di Valerio Jalongo, ci mette il carico da undici. La pellicola parla della scuola che non va, degradata al punto che un insegnante si droga con l'alunno. Manco averlo programmato (ma già, davvero non è stato programmato?). «La protesta del cinema con l'occupazione del tappeto rosso e quella di oggi della scuola sono "parenti". Entrambe riguardano il trattamento che sta avendo la cultura», si sfoga la Golino, che così detta la linea politica manco fosse un segretario di partito. Adesso però facciamo due più due. Guardiamo bene che cosa c'è dietro e che cosa c'è dopo. La fotogallery dell'«okkupazione», per esempio. Vedi un'altra Valeria, la Solarino, che impugna sul red carpet il microfono come fosse un fucile e si leva i suoi sassolini dalla scarpa (coi tacchi a spillo). Ma la musa di Veronesi mica indossa l'eskimo, o i jeans con maglione. Sta in abito da sera, la bretella le scende e scopre sensualmente la spalla. Già, perché appena finita la protesta Valeria aveva un impegno importante: madrina del festone notturno al Maxxi, dove si sono ritrovati tutti a cenare alla giapponese. Nel giro mondano che si ripeterà ogni sera, dall'Open Colonna al Rome Cavalieri, i posti negati ai poveracci. La protesta sarebbe continuata, avevano annunciato prima di abbuffarsi di sushi. E invece ieri mattina red carpet libero. «Siamo in assemblea alla Casa del Cinema di Villa Borghese per organizzarci», la versione dei Centoautori all'ora di pranzo. E invece alla Casa del Cinema c'erano solo un gruppo di giovani impegnati a decidere come montare i video dell'okkupazione. Anche all'Auditorium, nel tardo pomeriggio, assemblea per decidere un montaggio: quello dello stand della protesta. Ma per carità, non lo filmate.