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Il traumatico addio tra Berlusconi e Fini

Il premier Silvio Berlusconi ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta

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Quello stesso 29 luglio - il giorno dell'"incompatibilità" - Fini annunciò la costituzione dei gruppi parlamentari di Futuro e Libertà alla Camera e al Senato.  Francesco Pontone era così infuriato per la vicenda della casa di Montecarlo che aveva minacciato di andarsene nel gruppo misto. Tuttavia, poiché la sua defezione avrebbe impedito di raggiungere il numero minimo di senatori per costituire il gruppo, alla fine aveva dato la sua adesione. Così i senatori furono 10 e i deputati 34. Più del previsto? Si è detto a lungo che Berlusconi si aspettasse un numero di adesioni più basso, ma sia Gasparri sia La Russa smentiscono: «Facemmo un elenco alla Camera: 18 "falchi", 14 "colombe", più 4 possibili defezioni da Forza Italia. In tutto, 36 potenziali aderenti. Ne andarono 34». Verdini consegnò al Cavaliere una lista passatagli da La Russa: 15 deputati avrebbero senz'altro seguito Fini, 17 si sarebbero probabilmente aggiunti. «I parlamentari che condividono fino in fondo gli strappi di Fini - mi spiega il ministro della Difesa - sono una decina. Il problema era di capire quanti, pur non condividendoli, avrebbero obbedito al richiamo della foresta». («In realtà» mi confida Bocchino «già prima che si riunisse l'ufficio di presidenza avevo dato a Fini una lista con 25 deputati e 6 senatori che erano pronti a dargli carta bianca e seguirlo comunque»). Al momento decisivo, probabilmente lo stesso Berlusconi contribuì a rendere meno traumatico il passaggio degli amici di Fini a Futuro e Libertà affermando, nella sostanza: l'importante è che restiate nella maggioranza che sostiene il governo. «Non ho detto proprio così» precisa il presidente del Consiglio. «Premesso che molti esponenti del nuovo gruppo non condividono affatto le esternazioni giustizialiste e i continui distinguo dei più estremisti di loro, abbiamo mantenuto anche al governo i loro esponenti confidando nelle assicurazioni di mantenersi fedeli alla maggioranza». (...) Fini, come abbiamo visto, pensava che alla fine La Russa non lo avrebbe lasciato. (A Berlusconi che gli diceva di non aver incoraggiato nessuno dei dirigenti di An a seguirlo, Bocchino rispose che non avrebbe dovuto accettare che «la moglie del fratello» gli si offrisse, anche se non era stato lui a fare il primo passo). La Russa mi fornisce questa spiegazione: «Il motivo unificante per noi quattro (lui, Gasparri, Matteoli e Alemanno) è nella storia della destra italiana. Fin da quando il Msi fu fondato nel 1946, è stato sempre presente l'appello a tutti gli italiani antitetici alla sinistra di unirsi nell'anticomunismo per amore dell'Italia. Almirante tentò di formare una costituente di destra riunendo anche alcuni antifascisti in chiave anticomunista. E An si chiamava "alleanza" proprio in questo spirito unitario.   Il Popolo della Libertà è perciò il traguardo al quale miravamo da sessant'anni. Il PdL non è nato da uno stato di necessità, come è stato il Pd per la sinistra: era una libera scelta. Bene, sotto questa insegna unitaria abbiamo vinto le elezioni politiche, europee, regionali e amministrative. E mettiamo in discussione questo percorso dall'interno? Certo, potevamo far meglio molte cose. Ma Fini non ha contribuito a migliorarle, ha aggravato in alcune circostanze le nostre difficoltà e ha interrotto un momento di successo importante. Io non avrei mai lasciato Fini e non l'ho lasciato fino all'ultimo momento. Ma adesso era lui che se ne andava». Infine, una rivelazione amara: «Forse ho commesso un errore. Quando Fini se n'è andato, io ho presentato a Berlusconi le mie dimissioni. Poi mi sono lasciato convincere a restare dai miei amici: il mio sarebbe sembrato un abbandono. Considero una mia sconfitta personale non essere riuscito a tenere insieme Silvio e Gianfranco. Anche se so quante volte ho taciuto all'uno le frasi offensive che ascoltavo dall'altro. E so soltanto io con quanta fatica ho dovuto tenere buona la base per far digerire le frasi di Fini sul fascismo, l'immigrazione, la bioetica...». Sulla stessa linea Alemanno: «Sono rimasto con Berlusconi perché credo nel progetto del PdL: la creazione per la prima volta di un unico soggetto che unisca il centro e la destra, superando tutti i limiti di mediazione politica nati dalla convivenza di soggetti diversi nella Casa delle Libertà. An, Forza Italia, Udc, Lega: tutti mantenevano il legame con la propria base elettorale, costituendo un frazionismo da Prima Repubblica. Ho trovato l'atteggiamento di Fini molto pregiudiziale. Si aggiunga, poi, che Fini sin dagli ultimi tempi di An aveva assunto, su immigrazione, bioetica, coppie di fatto, posizioni inconciliabili con le mie».   Osserva Matteoli: «Non mi sono affatto pentito della scelta che ho fatto e resto convinto che nel 2008, se An si fosse presentata da sola, non avrebbe avuto un successo elettorale. L'elettorato non faceva ormai troppa distinzione tra i voti ad An e quelli a Forza Italia. Noi avremmo conservato i voti dei simpatizzanti, ma gli altri, tra l'originale e la copia, avrebbero preferito Berlusconi. E poi, con il bipolarismo consolidato, con il centrosinistra che aveva fatto il partito unico, ho visto nel PdL la svolta verso il bipartitismo che sognavo da decenni». Conclude Gasparri: «Fini ha detto che Berlusconi ci ha comprati. Io ho firmato la legge sulle televisioni nel 2004. Ma, accanto alle legittime critiche politiche, non c'è mai stata una sola battuta di sospetto sul mio comportamento morale. La verità è che noi ci siamo sentiti molto più liberi dentro il PdL. E che Fini ha abbandonato su troppi temi le posizioni tradizionali della destra italiana».  

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