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La parabola di Obama Dal sogno alla sconfitta

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seguedalla prima di GIANCARLO LOQUENZI Allora basta la curva dei suoi sette trimestri di rilevamenti sul gradimento verso Barack Obama per ricapitolare la parabola presidenziale a nel giorno delle elezioni di Mid-Term. Dopo i primi tre mesi alla Casa Bianca il presidente godeva di un tasso di approvazione pari al 63 per cento, contro il 52, 9 degli americani che lo avevano espressamente votato il 4 novembre del 2008. Senza aver fatto ancora nulla si era guadagnato il sostegno di un ulteriore 10 per cento di compatrioti. I problemi sono arrivati già dal trimestre successivo e poi in tutti quelli seguenti che lo hanno portato con un calo costante fino al 44, 7 di fine ottobre, senza mai più un segno di ripresa. In 21 mesi di presidenza Obama ha lasciato sul campo quasi il 20 per cento dei consensi. E per la prima volta nella storia di questo tipo di sondaggi coloro che hanno un'opinione sfavorevole di Obama (50 per cento) sono più di coloro che ne hanno una favorevole (47 per cento). In fine, è questo è forse il dato più eloquente, oggi solo il 39 per cento degli americani ritiene che Obama meriti di essere rieletto presidente degli Stati Uniti. Che cosa è successo di così catastrofico per avvitare la 44 presidenza americana in questa spirale negativa? Si potrebbero dare molte risposte, ma in realtà a contare è stato piuttosto quello che non è successo. Barack Hussein Obama II non è entrato alla Casa Bianca come un presidente qualsiasi. La sua campagna elettorale, lo stile della sua predicazione politica, gli slogan salvifici, ne avevano fatto una sorta di messia. Esperienza, capacità di amministrazione, competenze specifiche, impegni di programma: niente di tutto questo ha contato per la sua elezione. L'America ha scelto di puntare sulla speranza e sul carisma di un uomo che sembrava poterla incarnare. Quando poi i fuochi e gli incanti della campagna elettorale si sono spenti e la dura fatica del governare ha preso il sopravvento, gli americani si sono svegliati dal loro sonno ipnotico. Dopo quasi due anni l'America non è più unità di quanto lo fosse durante la vituperata era Bush. Anzi gli stessi toni di questa campagna di Mid-Term hanno mostrato un paese partigiano e iroso, violento e diviso come non mai. Dopo quasi 3 bilioni di dollari di stimoli fiscali l'America non è più ricca o più produttiva. Anzi il debito pubblico è arrivato alla stratosferica cifra di quasi 14 bilioni di dollari e gli effetti sull'occupazione non si sono ancora fatti sentire se da settembre 2009 allo stesso mese del 2010 i disoccupati sono scesi dal 9,8 al 9,6 per cento. L'America non è neppure più sicura dopo il precipitoso ritiro dall'Iraq e dopo due anni di politica della mano tesa verso il mondo arabo e di tentativi di appeasement con l'Iran. I pacchi bomba yemeniti in viaggio verso gli Usa stanno a significare che l'America di Obama resta un bersaglio del terrorismo internazionale anche se la guerra al terrore ha cambiato nome. Con un premio Nobel per la Pace "preventivo" ancora tutto da meritare. L'America non è neppure certa di essere più sana e più tutelata nella malattia dopo la faticosa e divisiva approvazione dell'Obamacare. I costi complessivi della riforma sanitaria che doveva essere il «landmark» della presidenza obamiana, sono ancora difficili da prevedere e i vantaggi elusivi. Tanto che i Repubblicani hanno promesso di rimettervi mano se prenderanno - come sembra - il controllo della Camera. Ed è possibile che questa promessa non sia estranea alla loro rimonta. Nel disastro della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, Obama non ha fatto molto meglio di Bush con l'uragano Katrina e anche la popolazione di Haiti, oggi dimenticata e decimata dal colera dopo il terremoto del gennaio scorso, non lo porterebbe in trionfo con il suo staff aveva previsto e orchestrato. Il primo presidente afroamericano d'America doveva essere un capitolo memorabile della storia d'oltreoceano, una svolta epocale, una vicenda da tutti record. È invece davvero incredibile quanto gli americani sembrino avere fretta di dimenticarlo.

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