In politica, le parole hanno una straordinaria forza eppure, a volte, possono rappresentare un limite.
Parolae azione è sempre stato un binomio difficile e l'invocazione alla coerenza è spesso stata un'arma retorica attraverso la quale stanare l'avversario. Nel caso del continuo contrasto fra il presidente della Camera e quello del Consiglio dei ministri si intravede qualcosa di più profondo. L'ex capo di An e ora di Fli si è spinto nelle sue valutazioni sul premier oltre il punto di non ritorno. Quando saranno chiamati alle urne saranno i cittadini a dare le pagelle. Nel frattempo però quella della chiarezza è divenuta un'istanza non più rinviabile. La vicenda di Ruby, insieme a quella della virtuale riforma della giustizia, presenta contorni assai incerti e orientarsi fra le propagande pro e contro Berlusconi è davvero arduo. Tuttavia non c'è dubbio che gli elementi politici per schierarsi vi siano tutti. Le opposizioni lo hanno fatto. Anche i centristi che sono spesso accusati, e quasi sempre ingiustamente, di essere cerchiobottisti hanno detto la loro senza tante perifrasi. Chiedere a Fini se le sue parole (durissime) contengono conseguenze non è un fatto secondario. Se pressoché tutti sono unanimi nel concordare sulla fotografia che ha scattato la presidente della Confindustria che ha denunciato la paralisi delle nostre istituzioni, allora non possiamo non riconoscere che questa deriva anche dai contrasti nella maggioranza di governo. In questo senso, il presidente della Camera è con Berlusconi pienamente corresponsabile della palude che pure va stigmatizzando un giorno sì e l'altro pure. Il premier ha alzato le barricate e tenta di difendere come può il fortino assediato di Palazzo Chigi. Ci riuscirà, non ci riuscirà e dopo ci saranno elezioni o governo tecnico? Non è importante tanto quanto la considerazione che per quanto possa zig-zagare nelle sue esternazioni, Berlusconi è nelle sue intenzioni trasparente. Il caso di Fini è, almeno sin qui, completamente diverso. Dopo tutto quello che ha detto in questi mesi sarebbe stato legittimo attendersi un voto contro la fiducia a Berlusconi e contro il cosiddetto Lodo Alfano. Così non è stato. I giornali compiacenti, assecondando quei tatticismi hanno fatto finta di niente. Non altrettanto i cittadini che avevano manifestato fiducia al nuovo corso del presidente della Camera. Ora, dopo aver sentito il suo leader all'Adriano, il deputato di Fli Fabio Granata ha pensato che per il suo partito la misura minima fosse il passaggio all'appoggio esterno. Le parole dette da Fini sono gravi, ma non serie. Questo gli hanno, di fatto, ribattuto i suoi colleghi che di quel governo ci fanno parte e che considerano forse quella adesione più importante a quella del nuovo partito. Un brutto pasticcio che gli italiani non possono più tollerare. Quando Bersani sollecita Fini perché stacchi la spina, non vuole certo provocare l'avversario. Reclama solo un minimo di chiarezza. E il fatto che altrettanto facciano gli (ex?) alleati del Pdl è il segno di una contraddizione ormai non minimizzabile. La forbice fra parola ed azione contiene la differenza fra un leader e una tigre di carta.