28 ottobre, la marcia sui finiani
Il ribaltone è fatto. I finiani vanno in minoranza. L'associazione An, che gestisce il tesoretto del partito (una settantina di milioni cash e 3-400 in beni immobili), è in mano ai berlusconiani. Al posto del dimissionario Franco Pontone, è stato votato alla guida del comitato di gestione Franco Mugnai, senatore grossetano molto legato al ministro Altero Matteoli. Lo hanno votato i sei pidiellini del comitato dei garanti a cui si è aggiunto Donato Lamorte, storico capo della segreteria di Fini, mentre i finiani Raisi e Digilio si sono astenuti. Poi al posto del dimissionario larussiano Giuseppe Catanzaro è stato eletto un altro uomo molto vicino al ministro della Difesa, Antonio Giordano, un manager d'azienda che già in passato venne chiamato a metter ordine al gruppo parlamentare di An: è considerato un duro che ha come stella polare i conti a posto. Quindi è stata affrontata la questione più spinosa, quella del Secolo. Il giornale è diretto da Flavia Perina, deputata di Fli, e di fatto la linea è con Fini. Anzi, sostiene da linea dei falchi finiani al punto che persino le colombe di Area nazionale ne hanno preso le distanze criticando il giornale. I berlusconiani soffrono questa condizione e si sentono in imbarazzo. Gasparri, per esempio, è ancora un dipendente in aspettativa del quotidiano di via della Scrofa, come pure Mario Landolfi. Il giornale è in perdita. Ha un debito storico con il partito di circa tre milioni di euro e ha necessità di un anticipo ogni anno di circa 900mila euro per arrivare sino a dicembre quando la presidenza del Consiglio eroga i contributi dello Stato. Adesso il comitato dei garanti ha scelto una linea sottile: ha condonato l'ultimo debito di circa 460mila euro pregressi e ha deciso di procedere a tappe. Come? Invece di sborsare i 900mila annui come fatto nell'ultimo triennio ha stanziato solo 300mila per far fronte al pagamento degli stipendi e le spettanze di ottobre. Per novembre e dicembre si vedrà. Nessuno lo confermerà ma è ovvio che è un tentativo di condizionare la linea editoriale. Fate i bravi o non vi diamo più un euro. Più esplicitamente: se continuate a sparare su Berlusconi ma anche su Alemanno, Gasparri, La Russa e Matteoli chiudiamo i rubinetti. O ancora: non siamo disponibili a pagare un giornale che ci attacca. Ufficialmente tutti parlano di una decisione tecnica e che sarà necessario fare una verifica attenta sui conti, che non è chiaro perché il giornale costi tanto e via discorrendo. Quel che è certo è che il direttore Perina l'ha presa come un chiara intimidazione. Oggi il quotidiano esce in segno di protesta con una prima pagina oscurata e il titolo: "Ci vogliono cancellare". «Negli ultimi tre giorni, lontano dai riflettori - scrive il direttore Flavia Perina - si è consumato quello che potrebbe essere l'ultimo atto del Secolo d'Italia dopo 50 anni di vita». Replica dei pdl Antonino Caruso, Giuseppe Valentino e Roberto Petri (area Gasparri-La Russa): abbiamo appena accordato un'ulteriore boccata di ossigeno da 900 mila euro al Secolo d'Italia, quindi l'ipotesi che si punti ad una chiusura è destituita di ogni fondamento. Ciò detto, il giornale non può continuare ad essere finanziato da un partito che non c'è più, cioè An, ma deve «camminare sulle proprie gambe». In una storia dove nulla avviene per caso, né i luoghi né i tempi, quella del 28 ottobre è diventata una marcia sì, ma non su Roma. Bensì sui finiani.