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Fini boccia Marchionne e difende i fannulloni

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Marchionne esiliato in patria. Mentre oltre confine riceve riconoscimenti anche dai capi di Stato, qui l'amministratore delegato della Fiat continua ad avere vita difficile. A sparargli contro non è solo la Fiom, il barricadero sindacato dei metalmeccanici della Cgil, ma anche gran parte del mondo politico. E ieri l'ennesima bocciatura gli è arrivata dalla terza carica dello Stato. Sotto accusa è l'intervista di domenica scorsa nella quale l'ad della Fiat ha parlato di efficienza e produttività; obiettivi che non si possono raggiungere se uno stabilimento può diventare ostaggio di un paio di operai, se in sostanza non c'è la certezza nella produzione. Ma questo discorso che di fatto suona come la condanna di un modo di fare impresa che vive dei sussidi statali e che è in balia dei ricatti sindacali, anzichè essere condiviso e supportato dalla politica, ieri ha scatenato un vespaio. E, fatto singolare, Fini ha fatto fronte comune con la Fiom e l'Italia dei Valori nella condanna di Marchionne. L'aggancio delle critiche è stato la frase: «Senza l'Italia la Fiat farebbe meglio».   Il presidente della Camera è stato tranchant: «Marchionne mi sembra che domenica abbia dimostrato, pur essendo italo-canadese, di essere più canadese che italiano». Poi l'affondo: «Se la Fiat è un grande colosso lo deve al fatto che è stato per grandissimo tempo il contribuente italiano, lo Stato, a impedire alla Fiat di affondare». Come dire che se la Fiat è sopravvissuta a alterne vicende lo deve allo Stato e quindi, questo sembra essere il ragionamento di Fini, non dovrebbe pretendere la sicurezza del processo produttivo, né l'efficienza, né dovrebbe permettersi di rilevare che la capacità produttiva italiana è inferiore a quella di altri Paesi. Una polemica che spacca l'Italia in due: da una parte i sostenitori della trasformazione della Fiat in una multinazionale, dall'altra quanti sono ancorati ad un'immagine vecchia dell'azienda che ha superato i momenti più critici con l'aiuto finanziario pubblico. L'argomentazione portata avanti da Marchionne è che la collaborazione Stato-industria esiste in tutti i Paesi del mondo, ma l'importante è ripagare i prestiti e che lo Stato non diventi gestore delle società. Fini poi si risente se qualcuno, fosse anche l'ad della Fiat, dà lezioni di efficienza. «È paradossale - dice piccato il presidente della Camera - che dica a noi, alla classe dirigente, attenzione perché non abbiamo più la capacità di competere, di stare sul mercato con una concorrenza molto marcata». Il presidente della Camera conclude riconoscendo le debolezze del sistema Italia che «per mille ragioni ha una scarsa capacità di attrarre capitali e competitività del lavoro», ma «può vincere la competizione mondiale puntando sulla qualità non sulla quantità». Irritazione anche dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi: «Quella di Marchionne è una denuncia ruvida ma non tanto condivisibile». Sacconi ha detto di non condividere «alcune premesse» fatte dall'Ad di Fiat come quella che posiziona l'Italia al 138° posto nella classifica della produttività pur condividendo il fatto che «abbiamo perso molta parte della grande impresa negli ultimi anni».

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