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Caro Cav, ci aspettiamo un colpo d'ala

Silvio Berlusconi

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Tutti aspettiamo ancora il grande colpo d'ala di Silvio Berlusconi, la mossa dello scacco matto ai suoi avversari, dopo la mossa del cavallo costituita dalla fiducia parlamentare da lui richiesta e ottenuta a fine settembre sui famosi cinque punti programmatici. Stentiamo a riconoscere l'uomo irriducibile, fantasioso, spiazzante e coraggioso che conosciamo da tempo. E che i suoi nemici temono ancora, eccome, tanto da perdere il controllo dei nervi, e non solo quelli, ogni volta che preparano nuove e non più «giocose» edizioni di quella «macchina da guerra» antiberlusconiana allestita nell'ormai lontano 1994 da Achille Occhetto. Che ci rimise la faccia e il posto di segretario del Pds-ex Pci. Aspettiamo ancora il grande colpo d'ala del Cavaliere sia alla guida del governo sia alla guida del partito, o del movimento, come lui preferisce chiamarlo. Che anche dopo la rottura di Gianfranco Fini rimane la maggiore forza politica italiana identificata dagli elettori in Berlusconi e non certamente in quei tre coordinatori nazionali ch'egli si ostina chissà perché a conservare al loro posto, pur mostrando ogni tanto segni di delusione. Ai quali i tre reagiscono purtroppo facendo finta di niente, o quasi, o scrivendo inconsistenti e lunghe lettere ai giornali. In attesa del grande colpo d'ala di Berlusconi, che sembra da qualche tempo impegnato non a precedere ma a inseguire i fatti, la Camera è vuota e inoperosa. Ma non resta inoperoso il suo presidente. Che cerca di fare proseliti dappertutto, quella che si chiama sprezzantemente «campagna acquisti», anche con tanto di companatico giudiziario, solo quando a tentarla o a condurla è l'odiato Cavaliere. L'attivismo di Fini, il suo metaforico salire e scendere dalla terza carica dello Stato, che dovrebbe invece inchiodarlo dalla mattina alla sera in una posizione distaccata e neutra, è diventato ormai frenetico. E spesso – se ci permette – umanamente imbarazzante e politicamente sconclusionato, nel senso che mescola incoerenza e confusione. Sfiancato evidentemente dalla prova di ragionevolezza e di responsabilità data, e da noi doverosamente riconosciutagli, facendo votare in commissione al Senato per la «retroattività» dello scudo giudiziario dei presidenti della Repubblica e del Consiglio, egli non ha retto più di uno o due giorni alle proteste e all'offensiva del fanatismo antiberlusconiano che attraversa e accomuna le opposizioni e una parte consistente del suo nuovo partito, o movimento come anche lui preferisce chiamarlo. Così quello scudo costituzionale, ammesso e non concesso che riuscirà mai a compiere per intero il suo lunghissimo e doppio percorso parlamentare, scampando alla ghigliottina delle elezioni anticipate, potrà anche riguardare i processi per fatti antecedenti i mandati dei due presidenti, ma non potrà valere più di una volta. Parola adesso anche di Fini, e non solo delle opposizioni contrarie allo scudo tout court.   Ma la prima e unica volta di Berlusconi, presidente del Consiglio in carica dalla primavera del 2008, equivarrebbe a un anno o poco più, il tempo cioè teoricamente prevedibile tra l'approvazione definitiva dello scudo, con relativa coda referendaria, e la conclusione ordinaria della legislatura nel 2013. Stupisce francamente che un uomo delle istituzioni, come Fini reclama di essere considerato per la carica che ricopre, o solo un uomo di una certa esperienza politica, non sia consapevole dell'incongruenza del no che ha gridato contro lo scudo «ripetibile». Ma ancora più stupisce il silenzio di Giorgio Napolitano, che dalla pur lontana Cina, dove è in visita ufficiale, lascia che il no di Fini e altre baggianate che si scrivono e si dicono contro la sospensione dei processi dei presidenti della Repubblica e del Consiglio durante l'esercizio del loro mandato siano ricondotti ad una sua pretesa contrarietà. Che risulta invece circoscritta, secondo le puntualizzazioni da lui stesso fornite dopo la sua clamorosa lettera di protesta al presidente della competente commissione del Senato, alla maggioranza semplice, e non qualificata, prevista per il voto parlamentare di autorizzazione al ricorso allo scudo. Stupisce meno la sintonia ormai creatasi tra Massimo D'Alema e Fini, appena sancita su un palco di Asolo con scambi di auspici e di giudizi sul dopo-Berlusconi. L'impareggiabile Giampaolo Pansa, prendendo le prime quattro lettere del cognome del primo e le ultime tre del secondo, ci regalò il personaggio Dalemoni una quindicina d'anni fa, quando D'Alema e Berlusconi sembrarono attratti da una comune e lodevole aspirazione ad un'ampia riforma costituzionale. Noi vi offriamo oggi l'immagine di Dalemini, purtroppo più modesta, sotto tutti i punti di vista.  

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