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Fiat lux. Ma non in Italia

Il presidente di Confindustria Emma Marcegallia e l' amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne

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Come in una tragedia aristotelica, i problemi italiani sono usciti dal cilindro della storia in tre atti. Guglielmo Epifani, Maria Stella Gelmini e Sergio Marchionne sono i personaggi-metafora di altrettanti temi: la fine della classe operaia novecentesca, la scuola e la ricerca da cambiare radicalmente, il futuro della produzione e della fabbrica nell'era della globalizzazione e dell'alta tecnologia. Ieri è stato Sergio Marchionne a recitare il suo atto. La storia gli ha assegnato una parte impopolare e lui l'ha interpretata in maniera impeccabile: «Dei 2 miliardi di euro di utile dell'azienda, neanche uno viene dall'Italia». Le parole di Marchionne sono un memento: le fabbriche in perdita non possono essere tenute in vita per sempre perché la Fiat non è più un ammortizzatore sociale e il suo campo d'azione non è più solo italiano. È tutto molto semplice, ma il sindacato e gran parte della classe politica non hanno ancora colto il significato di questa rivoluzione. Marchionne è un bagno gelato di realtà per i novelli alfieri dell'utopia ai maccheroni. I metalmeccanici della Fiom, la Cgil e i loro alleati dell'università immaginano un mondo che non c'è più. Studenti e professori alleati degli operai con la bandiera rossa finiscono per essere fuori corso non dal programma di laurea, ma dalla storia tout court. Straccioni del pensiero che immaginano una scuola destinata a soccombere.   A queste sagome sul palcoscenico dobbiamo aggiungere la classe dirigente che ignora le sfide della contemporaneità o peggio non ha il coraggio di dire la verità sul futuro e immagina pure di cavarsela a buon mercato. Si sbagliano tutti. Saranno travolti. Non mi faccio illusioni per l'immediato, c'è da stare certi che prima cercheranno di sfasciare quel poco che è rimasto e molti gli daranno spago per andare avanti nell'opera di demolizione, ma all'improvviso tutto il sistema crollerà di fronte al peso della competizione internazionale e alla velocità di cambiamento imposta dalla tecnologia. Crash. Quando Marchionne dice «faccio il metalmeccanico» non fa una battuta, in realtà presenta in maniera iperbolica il mutamento della natura del lavoro e l'avanzamento dell'automazione. È in corso una rivoluzione gigantesca. Questi giorni di studio e ricerca trascorsi alla Singularity University, in California, mi hanno non solo confermato quanto da tempo pensavo, ma aperto altri scenari che per la «vecchia Europa» saranno un banco di prova terribile. Gli studi sull'intelligenza artificiale, sui network e i computer, sulla nanotecnologia, la biotecnologia e informatica, la medicina e la neuroscienza, l'energia e i sistemi ambientali sono una realtà in movimento. Le fabbriche saranno, come sempre è accaduto durante i salti tecnologici imposti dalla storia, il luogo della sperimentazione e introduzione di robot sempre più intelligenti e di tecnologie oggi impensabili. L'uomo nella catena produttiva è destinato ad essere un controller e a lungo andare, forse, neppure quello. Siamo preparati a tutto questo? Ci stiamo pensando? La politica sta progettando il nostro futuro, ha una visione dei prossimi venti, trent'anni? I nostri studenti sanno qualcosa di quel che sta accadendo? I docenti sono consapevoli? Le università sono in grado di far crescere le future generazioni? Che cosa ne sarà dell'Italia? Ecco, il culmine della nostra tragedia è tutto in quest'ultima semplice domanda. Non siamo i soli a porci il dilemma, il Vecchio Continente si interroga a intermittenza e qualcuno (soprattutto Angela Merkel e David Cameron) sta anche provando a dare delle risposte, ma le nostre domande sono più pressanti perché l'ignoranza su questi temi domina sovrana e le bugie non terranno in piedi a lungo la baracca. Marchionne è una persona che parla chiaro. È un'eccezione in un Paese di ipocriti. E allora, cari tartufoni, questa è la dura verità: Fiat lux. Ma non in Italia.  

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